mercoledì 31 dicembre 2014

I CINQUE UNDERDOG DEL 2014

1 KAWHI LEONARD (SAN ANTONIO SPURS) – C’è un detto nella Nba, anzi forse più una sorta di mantra: dimmi dove finisci e ti dirò che giocatore sarai. Una frase che di sicuro Kawhi Leonard avrà sentito più e più volte non solo quando decise di ‘saltare’ verso la Nba, ma anche quando alla base della decisione c’era la scelta del College. Tante nella West Coast si erano fatti in quattro per reclutare uno dei 50 migliori prospetti della nazione. La scelta fu quella degli Aztecas di San Diego State. Una scelta criticata, snobbata e che aveva fatto perdere qualche punto di interesse per nei Pro dalla porta principale. E lui ne era consapevole. Cosi come era consapevole dei suoi limiti. Nel 2010 quando San Diego State era sulla cresta dell’onda per le vittorie a raffica, lui in una intervista che parlava di futuro dichiarò: «So che per essere un giocatore esterno nella Nba devo migliorare fisico, difesa e tiro da tre punti. Ed è su questi fondamentali che lavorerà ogni giorno». Il suo coach lo definì un ‘topo da palestra’, forse anche Popovic agli Spurs. Palestra, lavoro, umiltà e sistema. E il mantra di cui sopra torna di attualità. Quindicesima scelta assoluta di San Antonio nel 2011. Parker, Ginobili, Duncan e coach Spy a fare da maestri e arrivano in fila la sconfitta contro i Thunder di Durant, poi quella in finale contro LeBron James, prima di arrivare all'altare della consacrazione. Intanto fisicità e tiro dalla lunga distanza erano stati aggiunti, il roster degli Spurs era tornato ad essere competitivo come non mai e il ‘ratto da palestra’ finisce sotto i riflettori della ribalta, ribaltando a sua volta Miami Heat e LeBron portando a casa anello e titolo di Mvp, quando tutti si aspettavano i ‘Big Three’. ‘Underdog’ se ce ne è uno.

2 DIEGO GODIN (ATLETICO MADRID/URUGUAY) – Gol all’ultima giornata della Liga nella sfida diretta al Camp Nou tra il Barcellona e l’Atletico Madrid. Il gol del pareggio, il gol che ha permesso ai colchoneros di vincere il campionato dopo tempo immemore. Il gol a Lisbona, nella finale di Champions League, con una parabola beffarda su Casillas. Se non ci fosse stato il gol nel recupero di Sergio Ramos, avrebbe regalato anche la coppa con le orecchie all’Atletico. La capocciata vincente che ha trafitto Buffon, ha mandato l’Italia sull’aereo del ritorno a casa ed il suo Uruguay agli ottavi. Senza contare tutto il lavoro sporco, partita dopo partita. Non è un bomber, non è un attaccante, neanche un centrocampista. E’ il difensore centrale che, insieme a Lugano, rispecchia lo spirito charrua. Diego Godin ha scritto la storia.

3 HUNTER PENCE (SAN FRANCISCO GIANTS) – I Giants ancora sul tetto del mondo dopo la bellissima e clamorosa serie contro i Kansas City Royals. Facile vincere quando ha, sul monte, una sentenza come Madison Bumgarner che non ti fa girare una santa volta la mazza e sentire il rumore del legno: una sentenza ed una impressionante serie di K. Facile vincere quando hai Pablo Sandoval che, al piatto, gira tutto, colpisce duro, manda la pallina nella baia e fa impazzire i tifosi coi suoi movimenti da Kung Fu Panda. Ok, ma il vero mvp delle World Series 2014 in MLB è lo stralunato Hunter Pence. Preso il giro per la somiglianza tremenda con Daniel Stern, il cattivo e goffo marv Merchants di “Mamma ho perso l’aereo”, Pence ha preso a bastonate i Royals nelle sette partite di finali. Ha prodotto 12 battute valide, 1 homerun, ha portato a casa 5 punti, 0.444 la pazzesca media battuta (quasi una valida ogni due lanci). Lo sguardo da pazzoide, le prese volanti, il sorriso contaggioso: San Francisco è ai suoi piedi.

4 MACCABI TEL AVIV (ISRAELE) – Perché la ‘storia’ resta indelebile  OLTRE L’ULTIMO SECONDO solo quando il risultato massimo viene raggiunto con un qualcosa di ‘normale’. Il crisma dell’immortalità non può mai arrivare per caso. Non lo fu per i Titans del Football – quelli per intenderci del film interpretato con maestria di Denzel Washington e dal nome ‘Il sapore della vittoria’ – non lo fu per i Miners di Texas at El Paso – soggetto di un altro film storico dello sport a stelle e strisce come Glory Road - che ribaltarono come un calzino non solo il mondo del basket americano dal punto di vista socio-culturale nell’America in piena lotta razziale, ma anche da quello sportivo mettendo ko la Kentucky di Rupp e piena zeppa di All America. Ecco molto probabilmente la storia del team israeliano è molto più simile a quest’ultima, compresa la presenza dell’armata madrilena del Real nella finalissima con tanto di bianco a ricordare le divise proprio di quei Wildctas. Una squadra messa assieme con l’obiettivo di arrivare quando più lontano possibile. Una squadra tra le mani di un Blatt sempre più emergente in Europa, una squadra fatta di giocatori o di qualche giocatori che in giro per l’Europa hanno scartato per un passato non ‘glorioso’ dal punto di vista della carriera e che poi nell'atto decisivo ha messo tutti a tacere. Per qualsiasi tipo di info chiedere a Tyrese Rice ed il suo titolo di Mvp delle Final Four. Una squadra che sembra essere vittima sacrificale sin dal primo turno contro l’Armani Jeans Milano e che invece da un finale rocambolesco ed un tiro libero sbagliato, ha costruito passo dopo passo una delle più belle storie di ‘underdog’ mai viste negli ultimi anni di pallacanestro continentale.

5 TIM KRUL (OLANDA) – Quarti di finale, stanno apparecchiando il terreno per i calci di rigore tra Olanda e Costarica quando Van Gaal tira fuori dal cilindro la ‘mossa’ del mondiale. Fuori il portiere titolare Cillessen e dentro lo sconosciuto, al grande pubblico, Tim Krul. Spilungone in maglia verde, look rivedibile anni Settanta, degno più dell’Arancia Meccanica che di questo gruppo. Tolto lo stupore iniziale, chiunque, sulla faccia della terra, pensa: “ok, questo è un pararigori”. Primo penalty: sguardo di sfida, passeggiata in faccia a Borges, balletto sulla linea tiro e quasi parata, gol. Secondo penalty: va l’eroe costaricano Ruiz, buffetto sulla spalla di Krul, tiro, parata. Terzo penalty: tocca a Gonzalez che viene ufficialmente sfidato da Krul che gli va vicino, mostra il dito sicuro di parare, tiro, ancora una volta ci sta ma è gol. Quarto penalty: è Bolanos a tirare, sguardo basso per non incrociare Krul, tiro, ancora intuito, quasi preso ma gol. Quinto penalty: va Umana, balletto toccando la traversa, faccia sicurissima, tiro e parata. Finisce, Olanda in semifinale. Pagine e pagine su Krul. Aveva parato due rigori degli ultimi 20. E meno male che era un pararigori. Che genio Van Gaal, tutta psicologia.

Camillo Anzoini&Domenico Pezzella

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