domenica 22 marzo 2015

BENVENUTI NEL MANICOMIO PARMA

Giampiero Manetti è stato arrestato in settimana
Il pezzo della settimana è una cronostoria al contrario sul Parma F.C.
Tutti sappiamo che in questi giorni la società ha chiuso i battenti ma pochi sanno cosa, in termini spicci e sintetici, sia realmente successo quindi ho deciso di illuminarci, me compresa, partendo da Giampietro Manenti.
Giampietro Manenti, Bollate 1969, negli ultimi anni ha fondato diverse società, più di una in Slovenia, con capitali sociali di 7,500 euro scarsi.
Il 6 Febbraio 2015 rileva il Parma F.C. dall’albanese Rezart Taci pagandolo 1 euro.
Il 18 Febbraio viene arrestato con l’accusa di rimpiego di capitali illeciti e con questo vengono a galla i suoi precedenti penali tra cui lesioni, possesso illegale di armi, bancarotta, tentata estorsione e violazione degli obblighi di assistenza familiare. Manenti aveva un bel progettino: risolvere le sorti della società con l’aiuto di 4,5 milioni di euro incassati dall’utilizzo di carte di credito clonate, ma la Guardia di Finanza è arrivata prima.
Prima di lui un albanese, come vi ho detto, si è affacciato nella vicenda.
Rezart Taci, Erseke 1971, è un petroliere albanese presidente anche della Federazione Albanese Scacchi. La sua storia nel calcio italiano comincia con la partnership come sponsor nel 2011 con il Milan e il suo ingresso nel disastro Parma avviene dopo una silenziosa trattativa, ma fa in tempo a scappare dopo essersi presto reso conto della situazione tanto che bastano 20 giorni per fuggire.
La suddetta silente trattativa fu con Fabio Giordano, presidente della squadra a cavallo tra il 2014 e il 2015. Se qualcuno poi si era illuso che la salvezza potesse arrivare con lui, si sbagliava di grosso. Fabio Giordano, prima di arrivare a Parma, era già stato amministratore unico o semplice consigliere di molte società che dopo poco dal suo arrivo furono messe in liquidazione o cancellate. Quindi un fallimento annunciato fu quello che seguì a Pietro Doca, presidente prima di lui.
Amauri e l'ex patron Ghirardi nel giorno
dell'accesso all'Europa League
Di Doca poche sono le notizie che trapelarono. Fu messo alla guida della società per pochi mesi e solo per ‘traghettarla’ alla ricerca di un risanatore che però non è mai arrivato. Pietro Doca seguì Tommaso Ghirardi, presidente dal 2007 al 2014.
Molti danno a lui la colpa massima della fine del Parma F.C. e la città si divide tra chi da lui si sente tradito e chi invece attribuisce le colpe alla Federazione.
Ghirardi entra nel calcio nel 1998 quando acquista il Carpendolo, squadra di Brescia, che milita allora in Terza Categoria, con cui arrivò quasi in serie C1 nel campionato 2005\2006. Fu proprio in quell’anno che fa il grande salto e rileva il Parma in compartecipazione con Angelo Medeghini e Banca Monte Parma. C’è da dire che quando Ghirardi fa tale operazione la società era già in perdita e diretta da un commissario straordinario da tempo.
Dopo il cambio, la squadra non si riprende in classifica nonostante esoneri e modifiche, così nel suo primo mercato si continuò ad andare in passivo, investendo circa 11 milioni di euro che non evitarono la retrocessione in serie B.
L’esperienza in B durò un solo anno e si tornò in seria A con Guidolin, tecnico a cui si deve il merito della promozione.
Le prime dimissioni di Tommaso Ghirardi, invece, risalgono al Maggio del 2014, dopo la mancata concessione della licenza UEFA da parte del CONI causata da un ritardo nei pagamenti IRPEF. Ma le stesse dimissioni furono presto ritirate fino al Dicembre 2014 quando annuncia la vendita a favore di una società di Cipro di cui a stento si conosce il nome.
La storia calcistica di Ghirardi si ferma quindi qui ma tre mesi dopo, nel Marzo di quest’anno, viene iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Parma per bancarotta fraudolenta e comportamento illecito alla base del grave dissesto finanziario della società e viene inibito per 4 mesi.
Donadoni e Cassano, due protagonisti degli ultimi trionfi
Il 19 Marzo 2015 il Parma F.C. viene dichiarato fallito.
Ora, come tutto questo sia possibile in uno sport in cui i milioni girano è difficile da capire ma è altrettanto incomprensibile capire come la Federazione sia così poco vigile da permettere a una squadra di continuare ad esistere dopo anni di perdite finanziarie e senza avere alcuna garanzia sull’assetto societario.
Dare le colpe è complicato ma il calcio è un business in perdita da anni e se fosse un’azienda come tutte le altre avrebbe già chiuso.

Vi do’ qualche numero, relativo al campionato scorso.
Cagliari: -1,8 milioni di euro
Cesena: -2,4 milioni di euro
Bologna: -4,2 milioni di euro
Fiorentina: -12,8 milioni di euro
Sampdoria: -9,6 milioni di euro
Genoa: -17 milioni di euro
Roma: -30,8 milioni di euro
Milan: 69,8 milioni di euro
Inter: 86,8 milioni di euro
Juventus: 95,4 milioni di euro
I conti spaventano noi comuni mortali e la domanda che segue è: Allora quale sarà la prossima squadra a fallire?
La risposta non è quella che si crede. Oltre questi numeri catastrofici c’è molto perché alle società di calcio viene applicato il ‘consolidamento fiscale’ che sarebbe un meccanismo di tassazione che consente di far emergere un’ unica pretesa tributaria a fronte di una moltitudine di passivi. A parole povere, al presidente di una società di calcio non importa molto della perdita visto che questa è totalmente detraibile fiscalmente. E in compenso la squadra gli permette di avere una grande visibilità, spendibile in qualsiasi momento, specie se poi il fine è entrare in politica, come spesso accade.
Ora la domanda che invece vi pongo io è questa: ‘Ma il calcio non era correre dietro ad un pallone in 11?’
A quanto pare no. 


Tiziana Tavilla

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