1 KAWHI LEONARD (SAN ANTONIO SPURS) – C’è un detto nella Nba, anzi forse più
una sorta di mantra: dimmi dove finisci e ti dirò che giocatore sarai. Una
frase che di sicuro Kawhi Leonard avrà sentito più e più volte non solo quando
decise di ‘saltare’ verso la Nba, ma anche quando alla base della decisione c’era
la scelta del College. Tante nella West Coast si erano fatti in quattro per
reclutare uno dei 50 migliori prospetti della nazione. La scelta fu quella
degli Aztecas di San Diego State. Una scelta criticata, snobbata e che aveva
fatto perdere qualche punto di interesse per nei Pro dalla porta principale. E
lui ne era consapevole. Cosi come era consapevole dei suoi limiti. Nel 2010
quando San Diego State era sulla cresta dell’onda per le vittorie a raffica,
lui in una intervista che parlava di futuro dichiarò: «So che per essere un
giocatore esterno nella Nba devo migliorare fisico, difesa e tiro da tre punti.
Ed è su questi fondamentali che lavorerà ogni giorno». Il suo coach lo definì
un ‘topo da palestra’, forse anche Popovic agli Spurs. Palestra, lavoro, umiltà
e sistema. E il mantra di cui sopra torna di attualità. Quindicesima scelta
assoluta di San Antonio nel 2011. Parker, Ginobili, Duncan e coach Spy a fare
da maestri e arrivano in fila la sconfitta contro i Thunder di Durant, poi
quella in finale contro LeBron James, prima di arrivare all'altare della
consacrazione. Intanto fisicità e tiro dalla lunga distanza erano stati
aggiunti, il roster degli Spurs era tornato ad essere competitivo come non mai
e il ‘ratto da palestra’ finisce sotto i riflettori della ribalta, ribaltando a
sua volta Miami Heat e LeBron portando a casa anello e titolo di Mvp, quando
tutti si aspettavano i ‘Big Three’. ‘Underdog’ se ce ne è uno.
2 DIEGO GODIN (ATLETICO MADRID/URUGUAY) – Gol all’ultima giornata della Liga
nella sfida diretta al Camp Nou tra il Barcellona e l’Atletico Madrid. Il gol
del pareggio, il gol che ha permesso ai colchoneros di vincere il campionato
dopo tempo immemore. Il gol a Lisbona, nella finale di Champions League, con
una parabola beffarda su Casillas. Se non ci fosse stato il gol nel recupero di
Sergio Ramos, avrebbe regalato anche la coppa con le orecchie all’Atletico. La
capocciata vincente che ha trafitto Buffon, ha mandato l’Italia sull’aereo del
ritorno a casa ed il suo Uruguay agli ottavi. Senza contare tutto il lavoro
sporco, partita dopo partita. Non è un bomber, non è un attaccante, neanche un
centrocampista. E’ il difensore centrale che, insieme a Lugano, rispecchia lo
spirito charrua. Diego Godin ha scritto la storia.
3 HUNTER PENCE (SAN FRANCISCO GIANTS) – I Giants ancora sul tetto del mondo
dopo la bellissima e clamorosa serie contro i Kansas City Royals. Facile vincere
quando ha, sul monte, una sentenza come Madison Bumgarner che non ti fa girare
una santa volta la mazza e sentire il rumore del legno: una sentenza ed una
impressionante serie di K. Facile vincere quando hai Pablo Sandoval che, al
piatto, gira tutto, colpisce duro, manda la pallina nella baia e fa impazzire i
tifosi coi suoi movimenti da Kung Fu Panda. Ok, ma il vero mvp delle World
Series 2014 in
MLB è lo stralunato Hunter Pence. Preso il giro per la somiglianza tremenda con
Daniel Stern, il cattivo e goffo marv Merchants di “Mamma ho perso l’aereo”,
Pence ha preso a bastonate i Royals nelle sette partite di finali. Ha prodotto
12 battute valide, 1 homerun, ha portato a casa 5 punti, 0.444 la pazzesca
media battuta (quasi una valida ogni due lanci). Lo sguardo da pazzoide, le
prese volanti, il sorriso contaggioso: San Francisco è ai suoi piedi.
4 MACCABI TEL AVIV (ISRAELE) – Perché la ‘storia’ resta indelebile OLTRE L’ULTIMO SECONDO solo quando il
risultato massimo viene raggiunto con un qualcosa di ‘normale’. Il crisma dell’immortalità
non può mai arrivare per caso. Non lo fu per i Titans del Football – quelli per
intenderci del film interpretato con maestria di Denzel Washington e dal nome ‘Il
sapore della vittoria’ – non lo fu per i Miners di Texas at El Paso – soggetto di
un altro film storico dello sport a stelle e strisce come Glory Road - che
ribaltarono come un calzino non solo il mondo del basket americano dal punto di
vista socio-culturale nell’America in piena lotta razziale, ma anche da quello
sportivo mettendo ko la Kentucky di Rupp e piena zeppa di All America. Ecco
molto probabilmente la storia del team israeliano è molto più simile a quest’ultima,
compresa la presenza dell’armata madrilena del Real nella finalissima con tanto
di bianco a ricordare le divise proprio di quei Wildctas. Una squadra messa
assieme con l’obiettivo di arrivare quando più lontano possibile. Una squadra
tra le mani di un Blatt sempre più emergente in Europa, una squadra fatta di
giocatori o di qualche giocatori che in giro per l’Europa hanno scartato per un
passato non ‘glorioso’ dal punto di vista della carriera e che poi nell'atto
decisivo ha messo tutti a tacere. Per qualsiasi tipo di info chiedere a Tyrese
Rice ed il suo titolo di Mvp delle Final Four. Una squadra che sembra essere
vittima sacrificale sin dal primo turno contro l’Armani Jeans Milano e che
invece da un finale rocambolesco ed un tiro libero sbagliato, ha costruito
passo dopo passo una delle più belle storie di ‘underdog’ mai viste negli ultimi
anni di pallacanestro continentale.
5 TIM KRUL (OLANDA) – Quarti di finale, stanno
apparecchiando il terreno per i calci di rigore tra Olanda e Costarica quando
Van Gaal tira fuori dal cilindro la ‘mossa’ del mondiale. Fuori il portiere
titolare Cillessen e dentro lo sconosciuto, al grande pubblico, Tim Krul.
Spilungone in maglia verde, look rivedibile anni Settanta, degno più
dell’Arancia Meccanica che di questo gruppo. Tolto lo stupore iniziale,
chiunque, sulla faccia della terra, pensa: “ok, questo è un pararigori”. Primo
penalty: sguardo di sfida, passeggiata in faccia a Borges, balletto sulla linea
tiro e quasi parata, gol. Secondo penalty: va l’eroe costaricano Ruiz, buffetto
sulla spalla di Krul, tiro, parata. Terzo penalty: tocca a Gonzalez che viene
ufficialmente sfidato da Krul che gli va vicino, mostra il dito sicuro di
parare, tiro, ancora una volta ci sta ma è gol. Quarto penalty: è Bolanos a
tirare, sguardo basso per non incrociare Krul, tiro, ancora intuito, quasi
preso ma gol. Quinto penalty: va Umana, balletto toccando la traversa, faccia
sicurissima, tiro e parata. Finisce, Olanda in semifinale. Pagine e pagine su
Krul. Aveva parato due rigori degli ultimi 20. E meno male che era un
pararigori. Che genio Van Gaal, tutta psicologia.
Camillo Anzoini&Domenico Pezzella