mercoledì 31 dicembre 2014

I CINQUE UNDERDOG DEL 2014

1 KAWHI LEONARD (SAN ANTONIO SPURS) – C’è un detto nella Nba, anzi forse più una sorta di mantra: dimmi dove finisci e ti dirò che giocatore sarai. Una frase che di sicuro Kawhi Leonard avrà sentito più e più volte non solo quando decise di ‘saltare’ verso la Nba, ma anche quando alla base della decisione c’era la scelta del College. Tante nella West Coast si erano fatti in quattro per reclutare uno dei 50 migliori prospetti della nazione. La scelta fu quella degli Aztecas di San Diego State. Una scelta criticata, snobbata e che aveva fatto perdere qualche punto di interesse per nei Pro dalla porta principale. E lui ne era consapevole. Cosi come era consapevole dei suoi limiti. Nel 2010 quando San Diego State era sulla cresta dell’onda per le vittorie a raffica, lui in una intervista che parlava di futuro dichiarò: «So che per essere un giocatore esterno nella Nba devo migliorare fisico, difesa e tiro da tre punti. Ed è su questi fondamentali che lavorerà ogni giorno». Il suo coach lo definì un ‘topo da palestra’, forse anche Popovic agli Spurs. Palestra, lavoro, umiltà e sistema. E il mantra di cui sopra torna di attualità. Quindicesima scelta assoluta di San Antonio nel 2011. Parker, Ginobili, Duncan e coach Spy a fare da maestri e arrivano in fila la sconfitta contro i Thunder di Durant, poi quella in finale contro LeBron James, prima di arrivare all'altare della consacrazione. Intanto fisicità e tiro dalla lunga distanza erano stati aggiunti, il roster degli Spurs era tornato ad essere competitivo come non mai e il ‘ratto da palestra’ finisce sotto i riflettori della ribalta, ribaltando a sua volta Miami Heat e LeBron portando a casa anello e titolo di Mvp, quando tutti si aspettavano i ‘Big Three’. ‘Underdog’ se ce ne è uno.

2 DIEGO GODIN (ATLETICO MADRID/URUGUAY) – Gol all’ultima giornata della Liga nella sfida diretta al Camp Nou tra il Barcellona e l’Atletico Madrid. Il gol del pareggio, il gol che ha permesso ai colchoneros di vincere il campionato dopo tempo immemore. Il gol a Lisbona, nella finale di Champions League, con una parabola beffarda su Casillas. Se non ci fosse stato il gol nel recupero di Sergio Ramos, avrebbe regalato anche la coppa con le orecchie all’Atletico. La capocciata vincente che ha trafitto Buffon, ha mandato l’Italia sull’aereo del ritorno a casa ed il suo Uruguay agli ottavi. Senza contare tutto il lavoro sporco, partita dopo partita. Non è un bomber, non è un attaccante, neanche un centrocampista. E’ il difensore centrale che, insieme a Lugano, rispecchia lo spirito charrua. Diego Godin ha scritto la storia.

3 HUNTER PENCE (SAN FRANCISCO GIANTS) – I Giants ancora sul tetto del mondo dopo la bellissima e clamorosa serie contro i Kansas City Royals. Facile vincere quando ha, sul monte, una sentenza come Madison Bumgarner che non ti fa girare una santa volta la mazza e sentire il rumore del legno: una sentenza ed una impressionante serie di K. Facile vincere quando hai Pablo Sandoval che, al piatto, gira tutto, colpisce duro, manda la pallina nella baia e fa impazzire i tifosi coi suoi movimenti da Kung Fu Panda. Ok, ma il vero mvp delle World Series 2014 in MLB è lo stralunato Hunter Pence. Preso il giro per la somiglianza tremenda con Daniel Stern, il cattivo e goffo marv Merchants di “Mamma ho perso l’aereo”, Pence ha preso a bastonate i Royals nelle sette partite di finali. Ha prodotto 12 battute valide, 1 homerun, ha portato a casa 5 punti, 0.444 la pazzesca media battuta (quasi una valida ogni due lanci). Lo sguardo da pazzoide, le prese volanti, il sorriso contaggioso: San Francisco è ai suoi piedi.

4 MACCABI TEL AVIV (ISRAELE) – Perché la ‘storia’ resta indelebile  OLTRE L’ULTIMO SECONDO solo quando il risultato massimo viene raggiunto con un qualcosa di ‘normale’. Il crisma dell’immortalità non può mai arrivare per caso. Non lo fu per i Titans del Football – quelli per intenderci del film interpretato con maestria di Denzel Washington e dal nome ‘Il sapore della vittoria’ – non lo fu per i Miners di Texas at El Paso – soggetto di un altro film storico dello sport a stelle e strisce come Glory Road - che ribaltarono come un calzino non solo il mondo del basket americano dal punto di vista socio-culturale nell’America in piena lotta razziale, ma anche da quello sportivo mettendo ko la Kentucky di Rupp e piena zeppa di All America. Ecco molto probabilmente la storia del team israeliano è molto più simile a quest’ultima, compresa la presenza dell’armata madrilena del Real nella finalissima con tanto di bianco a ricordare le divise proprio di quei Wildctas. Una squadra messa assieme con l’obiettivo di arrivare quando più lontano possibile. Una squadra tra le mani di un Blatt sempre più emergente in Europa, una squadra fatta di giocatori o di qualche giocatori che in giro per l’Europa hanno scartato per un passato non ‘glorioso’ dal punto di vista della carriera e che poi nell'atto decisivo ha messo tutti a tacere. Per qualsiasi tipo di info chiedere a Tyrese Rice ed il suo titolo di Mvp delle Final Four. Una squadra che sembra essere vittima sacrificale sin dal primo turno contro l’Armani Jeans Milano e che invece da un finale rocambolesco ed un tiro libero sbagliato, ha costruito passo dopo passo una delle più belle storie di ‘underdog’ mai viste negli ultimi anni di pallacanestro continentale.

5 TIM KRUL (OLANDA) – Quarti di finale, stanno apparecchiando il terreno per i calci di rigore tra Olanda e Costarica quando Van Gaal tira fuori dal cilindro la ‘mossa’ del mondiale. Fuori il portiere titolare Cillessen e dentro lo sconosciuto, al grande pubblico, Tim Krul. Spilungone in maglia verde, look rivedibile anni Settanta, degno più dell’Arancia Meccanica che di questo gruppo. Tolto lo stupore iniziale, chiunque, sulla faccia della terra, pensa: “ok, questo è un pararigori”. Primo penalty: sguardo di sfida, passeggiata in faccia a Borges, balletto sulla linea tiro e quasi parata, gol. Secondo penalty: va l’eroe costaricano Ruiz, buffetto sulla spalla di Krul, tiro, parata. Terzo penalty: tocca a Gonzalez che viene ufficialmente sfidato da Krul che gli va vicino, mostra il dito sicuro di parare, tiro, ancora una volta ci sta ma è gol. Quarto penalty: è Bolanos a tirare, sguardo basso per non incrociare Krul, tiro, ancora intuito, quasi preso ma gol. Quinto penalty: va Umana, balletto toccando la traversa, faccia sicurissima, tiro e parata. Finisce, Olanda in semifinale. Pagine e pagine su Krul. Aveva parato due rigori degli ultimi 20. E meno male che era un pararigori. Che genio Van Gaal, tutta psicologia.

Camillo Anzoini&Domenico Pezzella

martedì 30 dicembre 2014

TENDENZE, I MONDIALI E LA GRANDE BELLEZZA TRA I PIU' 'GOOGLATI' IN ITALIA NEL 2014

TENDENZA: Disposizione e inclinazione, sia naturale e spontanea, sia acquisita e consapevole, verso un determinato modo di sentire, di comportarsi e di agire. Anche orientamento, indirizzo ideologico, corrente che si determina all’interno di un movimento o di un fenomeno politico, sociale, artistico e culturale. Nella locuzione di tendenza, alla moda, in grado di condizionare le scelte e i gusti del pubblico: un locale di tendenza, abbigliamento di tendenza. Con riferimento a cose, fatti, situazioni, disposizione a evolversi o modificarsi in un dato modo.

Una parola sola per una vasta gamma di situazioni personali che riguardano tutto ciò che ci circonda. Una parola sola per raggruppare macro aree e racchiuderle all’interno di poche righe in modo tale da poterle utilizzare come sinonimo di tutto il resto. Insomma è come una sorta di intestazione o di fascicolo o ancora di faldone all’interno del quale inserire diverse voci per poi trovarle facilmente. Un accumulatore. Un qualcosa che più di qualche decennio fa, si riusciva a conoscere attraverso i classici sondaggi in giro per i vari continenti e che invece trova una posizione geografica ben precisa: la Silicon Valley, ovvero la sede principale di Google. Un motore di ricerca che accumula informazioni, acquisisce dati, ricerche, interazioni, voglia di conoscere e soprattutto quelle che sono le ‘tendenze’ delle persone ad informarsi.

La copertina del film The Internship
Strano come in una mattina di fine dicembre prendendo il solito caffè con il solito film in sottofondo (quello di turno accedendo la tv era Stagisti, divertente commedia interpretata da Owen Wilson e Vince Vaughn e che appunto è basata su un classico Internship – reale nome del film – di uomini di mezza età in quel di Google), ti accorga che in fondo c’è sempre un qualcosa di nuovo anche e soprattutto in un qualcosa che usi quotidianamente almeno un centinaio di volte al giorno. E questo nella peggiore delle ipotesi. Ed allora c’ho provato. Ho provato a scoprire il mondo delle tendenze, il mondo dell’orientamento globale verso questo o quel nome, verso questo o quel personaggio famoso, verso questo o quell’accadimento generale o verso questa o quella fonte di sapere. Ce ne è di tutti i gusti. La parola chiave è digitare l’anno di interesse, la categoria, ma soprattutto il paese e vi si aprirà un mondo del tutto nuovo. Un esempio? Se provate a catalogare il tutto con i seguenti parametri: Stati Uniti e 2014 potrete notare come scorrendo le note di tendenza ce ne è una particolarmente stravagante: ‘How to do sex’. Come fare sesso. Il che vuol dire che almeno un determinato numero di persone site negli USA almeno una volta ha digitato la domanda o la semplice frase “come fare sesso”. Una tendenza all’apparenza normale, ma che potrebbe aprire una voce ed un capitolo se non una voragine circa l’uso di internet, dal momento che non è assolutamente escluso che la digitalizzazione della domanda possa essere pervenuta da chi magari ne vuole sapere di più perché non ne ha mai sentito parlare, perchè si avvicina al primo rapporto, perché ne ha vergogna o semplicemente per essere indirizzato verso un qualcosa di cui hanno sentito parlare e che non ha certo tanto di legale. Ma come detto questo è un capitolo troppo arduo lungo ed increscioso da affrontare in poche righe.

Una parte delle categorie delle tendenze
di Google in questo 2014
E il popolo italiano? Cosa ‘googla’ in genere? Cosa cerca sul web? Cosa incuriosisce ed attira l’attenzione degli abitanti del BelPaese? Basta cambiare i termini e le parole chiave della ricerca e in un attimo tutto il 2014 che sta per finire è racchiuso in diverse categoria:

Biglietti…Emergenti.
Come fare…Emergenti
Cosa significa…Emergenti
Parole emergenti associate al 2014
Parole…Emergenti
Mete di vacanza…Emergenti
Perché…
Personaggi…Emergenti
Ricette…Emergenti
Personaggi dei mondiali…emergenti

Dieci categorie. Dieci diversi tipi di accumulatori dei quali non stiamo certo qui a raccontarli uno per uno, specie per lasciarvi la libertà di scegliere il vostro preferito, anche se non è quello italico. Ma qualche piccolo indizio ve lo vogliamo lasciare, giusto per aumentare quel livello di ‘salivazione’ nei confronti di un qualcosa che da un certo punto di vista è anche divertente.

Per esempio partiamo dalla categoria ‘Come fare…’ Primi tre posti sembra tutto normale con Barbecue, ciambelle e refil. Poi alla quinta e all’ottava posizione dei come fare più ‘googlati’ ci sono: ‘come fare i malocchi’ e ‘come fare politica’ con quest’ultima che forse spiegherebbe il perché della presenza di tante persone alla guida di questo paese, ma come il discorso della ricerca del sesso sul web, quello italiano dei palazzi del potere è un argomento altrettanto, lungo, impervio e increscioso.

La coppia che ha folgorato l'Accademy degli Oscar
Le prossime due categorie potrebbero essere non tanto interessanti in quanto, forse, scontate ma per chi vive in Campania ed in particolare all’ombra della Reggia vanvitelliana di Caserta è motivo di vanto. ‘Parole emergenti’ e ‘Parole emergenti associate al 2014’. A vincere a mani basse sono stati ovviamente i Mondiali in Brasile, ma immediatamente dopo all’evento calcistico globale nelle parole emergenti associate al 2014 ci sono gli Oscar 2014 che di conseguenza nella ricerca delle parole ha prodotto la digitalizzazione di ‘La Grande Bellezza’ ovvero il capolavoro che ha consacrato all’Accademy (statuetta per la categoria miglior film straniero) il casertano Toni Servillo e diretto da Paolo Sorrentino.

Per chiudere il classico ‘dulcis in fundo’. Come quando si va al fast food e ci si lascia sempre quello sparuto numero di patatine da gustare come boccone finale. Ecco noi vogliamo lasciarvi con la categoria dei ‘Perché’ con dieci voci che di sicuro vi porteranno a dedicare un click per capire a cosa da Aosta alla Sardegna si è cercato di trovare una soluzione o semplicemente una spiegazione:

  1. Perché vengono le blatte
  2. Pepa muore
  3. Bugiardino
  4. Energie rinnovabili
  5. Si soffre
  6. Vengono i pidocchi
  7. Guerra in Vietnam
  8. Porcellum Incostituzionale
  9. Piango Sempre
  10. Si arrossisce

Per tutto il resto basta ‘surfare’ un po’ e vi divertirete. Di seguito il promo, proprio fatto da Google, sulle ‘ricerche’ e quindi sulle ‘tendenze’ globali.





Domenico Pezzella

lunedì 29 dicembre 2014

CORO DELL’ANNO - BRASIL DECIME QUE SE SIENTE…

Il testo del coro argentino
Alzi la mano chi non ha cantato, fischiettato o solamente tenuto il ritmo del coro simbolo del Mundial brasiliano. Non c’è tanto da discutere anche per questo speciale: il coro dell’anno è decisamente “Brasil decime que se siente…” intonato dai tifosi argentini durante il mese del Mundial. Un canto che è arrivato anche in Italia e ci ha accompagnato durante questo percorso verdeoro, anzi albiceleste. Uno dei posti profanati dagli argentini con questo coro, oltre al Sambodromo, è la spiaggia di Copacabana. Basta farsi un giro su Youtube per vedere centinaia di video a riguardo (https://www.youtube.com/watch?v=HWYUcbNNd3Q). Un coro continuo, incessante: dove c’era un gruppo di argentini, c’era questo coro. Ovunque. Anche dentro un centro commerciale come testimonia questo video (https://www.youtube.com/watch?v=jjGi8Xqu7MA). C’è chi ha fatto un pezzo di reggaeton, chi l’ha cantata in modo acustico, chi solo voce. Ovviamente dalla follia collettiva non si sono sottratti neanche i giocatori della Selecion albiceleste. Uno scatenato Kun Aguero a dare il ritmo, el Pocho Lavezzi e soci a cantare (https://www.youtube.com/watch?v=hiHLi81Hixw). E che dire di Diego Maradona? Poteva mai non partecipare? Non esiste, ed ecco la sua performance (https://www.youtube.com/watch?v=hWdgC8WQ8vY#t=48).
Brasiliani coi timpani massacrati per tutto il mondiale ma c’è stata una piccola rivincita quando, nella conferenza stampa post sconfitta in finale contro la Germania, il commissario tecnico argentino Alejandro Sabella è stato punzecchiato da un giornalista brasiliano che gli ha chiesto: “Avete perso la finale, mister decime que se siente….”. Risata del mister e clima sereno.

Pochi, forse, sanno la storia di questo coro che, ormai, si sente praticamente in tutti gli stadi o palazzetti anche in Europa. Ormai ogni tifoseria c’ha messo le proprie parole. Il motivo è quello di Bad moon rising dei Creedence Clerwater Revival canzone registrata nel lontanissimo aprile del 1969. Difficile, invece, dare la paternità ad una tifoseria: da quello che ho letto e studiato, la prima hinchada argentina a cantare questo motivo è quella del San Lorenzo de Almagro (sì, la squadra di Papa Francesco). La loro versione aveva queste parole  “vengo del barrio de Boedo, barrio de murga y carnaval, te juro que en los malos momentos, siempre te voy a acompañar” (tradotto in ‘provengo dal quartiere di Boedo, quartiere di bande musicali e carnevale, ti giuro che anche nel momenti difficili, sempre ti accompagnerò). Sicuramente la versione più nota, prima di quella in Brasile, porta la firma de ‘La Doce’ del Boca Juniors. Il bersaglio? Ovviamente quelli del River Plate. Questo il loro testo: “River, decime qué se siente haber jugado el nacional, te juro que aunque pasen los años nunca nos vamos a olvidar. Que te fuiste a la B, quemaste el Monumental, esa mancha no se borra nunca más” (tradotto in “River dimmi cosa si sente ad aver giocato il Nazionale – la nostra serie B -, ti giuro che anche se passano gli anni, non ci dimenticheremo mai. Che sei andato nella B, che hai bruciato il Monumental – lo stadio del River -, questa cosa non si cancella mai più”). Anche il River ha risposto ma con toni molto razzisti e, quindi, non lo scrivo neanche il loro coro. Insomma, per noi di OLTRE L’ULTIMO SECONDO, il coro degli argentini a Brazil 2014 è il coro dell’anno. Anzi, gente... decime que se siente…

I tifosi argentini invadono Copacabana
TESTO

Brasil, decime qué se siente tener en casa a tu papá.
Te juro que aunque pasen los años, nunca nos vamos a olvidar
Que el Diego te gambeteó, que Canni te vacunó, que estás llorando desde Italia hasta hoy
A Messi lo vas a ver, la Copa nos va a traer, Maradona es más grande que Pelé.

TRADUZIONE
Brasile, dimmi cosa senti ad avere in casa tuo papà.
Ti giuro che anche se passano gli anni, non ci dimenticheremo mai.
Che Diego ti ha dribblato, che Canni (Caniggia) ti ha infilzato, che stai piangendo da Italia (’90) fino ad oggi.
Ora vedrai Messi, la Coppa ci porterà, Maradona è più grande di Pelè.

Camillo Anzoini































sabato 27 dicembre 2014

INNO DELL’ANNO - CILE

Mano sul cuore durante l'inno
Uno dei pochi pregi che ho è la curiosità e la voglia di conoscere aspetti, usi, costumi, storie e tradizioni di altre culture. Rimasi affascinato dal trasporto di Bam Bam Zamorano durante l’inno del suo Cile durante i Mondiali di Francia 1998. Un canto liberatorio, propizio, in un misto meraviglioso di fierezza, orgoglio e commozione nel rappresentare la propria terra. All’epoca non parlavo una parola di spagnolo, non c’era internet e non si potevano prendere grandi informazioni anche su queste cose. Poi, col passare degli anni, mi sono sempre più affezionato alla storia cilena: da Salvador Allende a Luis Sepulveda, passando per Victor Jara, Angel Parra o altri meravigliosi musicisti di quella terra. La storia dei desaparecidos, di Augusto Pinochet Ugarte, del golpe e di quel 11 settembre 1973 che ha cambiato la storia di una nazione. Mi piaceva come suonava il nome Colo Colo (la squadra calcistica più titolata del paese) e comprai una maglia via internet. Poi sono arrivati Victor Caszely, i film, il vino e la scoperta che Colo Colo è il nome di un eroe mapuche. Ed arrivò, un giorno, anche la curiosità di capire e scoprire le parole dell’inno. Il web mi aiutava, la voglia di conoscere anche. In pochissimo tempo ho imparato, parola per parola, l’inno cileno. Il testo in spagnolo, la traduzione: ho scoperto che, se ero rimasto affascinato dall’emozione di Bam Bam, adesso tutto aveva una spiegazione. Ogni volta che l’ho ascoltato, l’ho cantato. Mi sentivo, quasi, un alieno: un italiano, senza alcun legame col Cile, conosceva e cantava quell’inno. Già prima del Mundial in Brasile, i cileni avevo conquistato l’attenzione e la simpatia del mondo col pazzesco video dei minatori, rimasti 70 giorni intrappolati sotto terra ad Atacama, che incitavano la selecion (https://www.youtube.com/watch?v=tb2RYMu5fDo).
Poi arrivò il match con l’Australia, inno… cantato. Poi la sfida con la Spagna ed inizia la leggenda. L’ultima strofa senza musica, tutto lo stadio la canta a cappella. Gli sguardi fieri di tutti, particolarmente Vidal e Bravo, il sorriso di Jara, l’indio Medel stonato come una campana, la panchina abbracciata, ma su tutti uno: l’allenatore Sampaoli. Argentino, orgogliosamente argentino, ma clamorosamente emozionato quando tutti i cileni cantano, a cappella e squarciagola il loro inno. Si vede chiaramente che vorrebbe partecipare, che vorrebbe urlare anche lui quelle parole nel cielo brasiliano, ma si contiene, trattiene, si emoziona ma resta in silenzio ad ascoltare. Anche l’Italia scopre la bellezza di quelle parole, l’orgoglio mapuche, i brividi nell’ascoltarlo. Da allora, ogni partita del Cile diventa LA PARTITA soprattutto al momento degli anni. Chiunque abbia un cuore, cileno o meno, si è emozionato nel vedere il trasporto di questa nazione verso la propria selecion di futbol. Chiunque, in un angolo del proprio cuore, ha tifato per la Roja ed è rimasto con l’urlo strozzato in gola quando Mauricio Pinilla ha centrato la traversa nell’overtime degli ottavi contro il Brasile. Ma questo è il gioco, nella mente resteranno i cileni, la loro passione, i loro cori, il loro inno. A volte, però, le parole non servono: bastono le orecchie, gli occhi, i cuori.

Ecco perché, senza tante chiacchiere, per noi di OLTRE L’ULTIMO SECONDO, l’inno cileno è l’inno del 2014.

TESTO ORIGINALE

Puro, Chile, es tu cielo azulado, puras brisas te cruzan también,
y tu campo de flores bordado es la copia feliz del Edén.
Majestuosa es la blanca montaña que te dio por baluarte el Señor,
La tifoseria cilena durante i mondiali brasiliani
y ese mar que tranquilo te baña te promete futuro esplendor.

Dulce Patria, recibe los votos con que Chile en tus aras juró
que o la tumba serás de los libres o el asilo contra la opresión.


TRADOTTO


Puro, Cile, è il tuo cielo azzurrino, pure brezze anche ti attraversano
Ed il tuo campo bordato di fiori è la copia felice dell'Eden.
Maestosa è la bianca montagna che ti ha dato per difenderti il Signore,
E quel mare che tranquillo ti bagna ti promette il futuro splendore.

Dolce Patria, ricevi i voti con cui il Cile sui tuoi altari giurò
Per cui o la tomba sarai dei liberi o l'asilo contro l'oppressione

Camillo Anzoini

venerdì 26 dicembre 2014

ITALO ALLODI: ASCESA E CADUTA DI UN PRINCIPE DEL CALCIO

Succede durante il tedio pomeridiano di un 25 dicembre comatoso e acido di succhi gastrici in difficoltà. Whatsapp scampanella un avviso di messaggio e io non aspettavo altro per distogliermi dalle ultime strascicate pagine di Viaggio al termine della notte (Louis-Ferdinand Celine, Viaggio al termine della notte, Corbaccio). Raggiungo pigra la presa di corrente dove il mio cellulare sta ormai legato fisso come un pitbull alla catena. Nientemeno che Camillo, stimato collega casertano, che mi annuncia la nascita di OLTRE L’ULTIMO SECONDO e mi invita a darci un'occhiata. E io, felice di interrompere Celine ma ancor più di ricevere notizie da Caserta, accendo il pc. Toh, un altro blog come tutti gli altri, proprio quello che mancava, penso sconfortata, e mentre scorro le pagine di OLUS comincio a pensare che, già che ci sono, potrei accoppare un po' di crucchi a Call of Duty. E invece poi vedo che, forse, non è la solita minestra. Anzi, leggo le voci Film, Musica, Libri. E che è? Allora Sport e Resto del mondo non sono acqua e olio? Che meraviglia, penso mentre rimando la strage di nazisti al dopocena. Camillo, mi sa che 'sta cosa che avete fatto mi aggrada. E mi sa che se mi dai un attimo, giusto il tempo di aprire una lattina di coca, ché devo digerire, e spannare la mente dalla Francia del Dopoguerra (non ho ancora capito se adoro o detesto Viaggio al termine della notte, ma al momento propendo per la prima che ho detto)...insomma, visto che siamo a Natale, e Natale, da che mondo e mondo, è sinonimo di Una poltrona per due, mi pare il caso di parlare di una storia di ascesa e caduta che un poco, alla lontana certo e per assonanza di tematiche, ricorda quella del film con Dan Aykroyd ed Eddie Murphy.
Italo Allodi, ascesa e caduta di un principe del calcio, di Alessandro Tamburini, edito da Pequod. Allodi era un self-made man del New Deal dell'Italia e del suo calcio negli anni Sessanta. Un provinciale, uno di noi, di origini medie, o anche medio-basse. Uno che lascia gli studi, per fare che poi? Per giocare a calcio, la qual cosa non gli riesce manco troppo bene, visto che molla presto per dedicarsi ad altro. È questo Altro che lo renderà grande: Italo Allodi diventa dirigente e inventa la figura del General Manager, incarnandola prima di chiunque altro, e fonda il Centro di Coverciano con i corsi etcetera etcetera. Allodi è l'ideatore di un modo di pensare al calcio e in generale allo sport non più come alla pro loco del paese ma come a un'azienda da organizzare. L'ascesa: inizia come dirigente nel Mantova, sboccia con la Grande Inter, vive la sua migliore stagione con la Juventus. La caduta: succede al Napoli di Maradona, dove un'inchiesta per illeciti sportivi infanga la sua reputazione e incrina la sua salute.
L'autore, Alessandro Tamburini, che di Allodi è un lontano parente, scrive una biografia che è anche un reportage, un'inchiesta tra coloro che l'hanno conosciuto, qui e là per l'Italia. L'affetto per quello “zio” famoso non sfocia mai nell'indulgenza per le ombre di un personaggio dalle pur molte luci. Lo stile è lineare, si naviga svelti tra le pagine, la lettura non incontra scogli. La vicenda di Allodi è interessante non solamente perché racconta di una figura dimenticata ma di rilievo nella storia del calcio italiano. Il libro di Tamburini offre anche spunti di riflessione per comparare il mondo di allora a quello di oggi, sportivamente parlando e non solo.
Il libro ha 213 pagine e si trova anche su Amazon.



Chiara Turrini

giovedì 25 dicembre 2014

MERRY NBA XMAS

Il classico intrattenimento natalizio delle
Cheerleaders del Madison
(New York Knicks - Chicago Bulls 2010)
Rewind: 25 dicembre 1947. Questa la data a partire dalla quale il Christmas Day del mondo cestistico americano, ha avuto un valore in più della normale considerazione religiosa, della normale considerazione di festa e chi più ne ha più ne metta. A partire dal 1947 il Christmas Day della Nba è, infatti, divenuto di anno in anno un qualcosa che è molto simile - ma non uguale - al Thanksgiving Day della Nfl. Le uniche differenze? Ovviamente il momento della festa ed il fatto che a differenza del football la tradizione cestistica non prevede una sorta di ‘face to face’ obbligatorio, stabilito o se vogliamo da tradizione (nel 2010 ho avuto la fortuna di assistere a quello tra i Knicks di Danilo Gallinari ed i Bulls di Rose). Nel basket a stelle e strisce, infatti, a dominare sono stati i momenti, gli attimi, gli scontri, le rivalità, la voglia del pubblico di vedere questo o quel giocatore, la voglia del pubblico di voler assistere a scontri importanti in un giorno importante. Chi ha dato inizio a tutto questo? Ovviamente i Knicks ed ovviamente al Madison Square Garden (location che ritorna sempre e se vi siete persi il racconto sulla ‘prima volta’ da newyorkese di Thierry Henry date un’occhiata qua: http://oltrelultimosecondo.blogspot.it/2014/12/sono-thierry-henry-piacere-di-conoscerla.html). Finale 89-75 per i padroni di casa che si liberarono in maniera quasi facile degli allora Providence Steamrollers per poi lasciare in eredità un classico che nella sua storia ha visto un solo vuoto, nel 1998 quando il lockout ha visto la Nba con un cartello scritto sopra chiuso per sciopero e che durò per quasi metà stagione.

LEBRON, KOBE E SHAQ – Di Xmas Day ce ne sarebbero tanti e utili a scrivere milioni di post,
Kobe contro Shaq
ma forse pochi sono rimasti impressi nella mente degli appassionati della Nba come una sorta di partita spartiacque dell’intera stagione. Per esempio? Quella del 2000 tra la Portland di Rasheed Wallace ed i Lakers di Shaq e Kobe che si diedero poi appuntamento ad una delle più belle gara7 della storia della Lega. Per gli amanti di ‘The Chosen One’ di sicuro il return match della finale persa nel giugno precedente dai Miami Heat contro i Dallas Mavericks di Nowitzki che può essere considerata come la pietra miliare dell’era Heat e di LeBron James. O sempre in tema di rivalità da Finals quella del 2008 tra i Celtics dei ‘Big Three’ ed i Lakers dell’era Bryant-Gasol. LeBron e Bryant. Due che nel 2010 nel giorno di Natale furono i due giocatori più attesi di una divisione popolare che ha avuto come eguali solo il solito tormentone meglio Bryant o Jordan. James lascia i Cavs, Kobe si dichiara un Lakers a vita. Quest’ultimo detiene lo scettro di uno dei giocatori più dominanti e vincenti della Lega, l’altro lo vorrebbe stretto nelle sue mani. Se provate a ‘googlare’ quel periodo della Nba ne trovate delle belle. Cosi come non si può scappare nella maniera più assoluta da un altro faccia a faccia memorabile: quello dopo la separazione in casa Lakers tra Shaq e Kobe. Il primo lascia la California per la Florida, il secondo resta e prende il comando. A Natale di nuovo uno contro l’altro con alla base dell’interesse generale non la rivalità sportiva ma quella personale tra i due. Si saluteranno, si ignoreranno? Anche per queste risposte divertitevi a trovare filmati.

La rivalità tra i Bulls ed i Knicks
L’IMPRONTA DEI KNICKS - Riavvolgendo il nastro, perché dimenticare una storica rivalità: quella tra i Knicks ed i Bulls, iniziata e consacrata, forse, da un altro Natale, quello della prima volta nel 1986 tra Michael Jordan e Pat Ewing. Tante sono state le sfide, ma quella del 1994, quella per intenderci in cui Jordan era impegnato ad evitare strike sul diamante e Pippen a tenere alto l’onore dei campioni uscenti della Wind City. Un match indelebile (purtroppo non in senso positivo) soprattutto nella mente dei tifosi dei Knicks che non solo pregustavano una vittoria nel giorno di Natale nei confronti dei rivali, ma anche quello dolce di una eventuale finale Nba con Jordan lontano dai campi. Niente da fare. Pippen dimostrò che per battere i Knicks non serviva solo Michael Jordan, mentre Shaquille O’Neal rimandò ancora di qualche anno i sogni di gloria della Grande Mela, poi mai realizzati. Ma il Christmas Day è stato anche il momento della consacrazione come stella tra le stelle di un altro Knicks: Pat Ewing. Era il 1985, gli avversari i Celtics di Larry Bird ed i 35 punti da rookie contro uno dei simboli della Lega spedisce di diritto l’ex Georgetown nel Gotha della Nba. La Grande Mela ed il Madison continuano ad essere protagonisti, come nel 1984 quando i 65 di Bernard King vengono ancora oggi considerati come una delle migliori prestazioni di un Knicks nel giorno di Natale.


IL PROGRAMMA DI OGGI – Ed in questo 2014? Ovviamente il giorno di Natale non poteva non riservare una partita speciale, un momento speciale. L’estate è stata caratterizzata dal ‘coming back’ a Cleveland LeBron James? Ovvio e scontato come un copione già scritto, che nel matinee natalizio il tutto fosse completato con la sfida e il ritorno a South Beach contro Wade ed i suoi Miami Heat che potrete gustare e non perdere su Sky a partire dalle 20. Il tutto condito dai Warriors che sfidano i Clippers, i Bulls che incroceranno la strada dei Lakers, i Knicks (come potevano mancare!) i Wizards, mentre ad Ovest i Thunder affronteranno Belinelli ed i campioni in carica degli Spurs. Vi serve altro? A si un bel tazzone di caffè caldo, qualche biscotto, dolcetto o ciambella e una bella poltrona comoda, per il resto: ENJOY THE GAME!

Domenico Pezzella

lunedì 22 dicembre 2014

SONO THIERRY HENRY. PIACERE DI CONOSCERLA…



La foto del passaggio al tavolo dei commentatori di Henry
«Dopo venti anni tra i campi di calcio, ho deciso che è arrivato il momento di mettere la parola fine alla mia carriera professionistica. Un viaggio fantastico nel quale ho vissuto tante emozioni e per il quale vorrei ringraziare tutti i fans del Monaco, della Juventus, dell’Arsenal, del Barcellona, della nazionale francese ed ultimi e non per importanza, quelli dei New York Red Bulls. E’ giunto il momento che la mia carriera prenda un corso diverso e quindi sono contento di annunciare che il prossimo anno tornerò a Londra per essere parte dello team televisivo di Sky Sport». Sedici dicembre scorso. Quest l'addio di Thierry Henry a New York, ai Red Bulls ed al calcio giocato in generale. Niente più maglietta, calzoncini e parastinchi, ma giacca, cravatta e microfono per commentare le partite della Premier. Si chiude, insomma, il cerchio di uno dei giocatori più talentuosi ed a volte controversi degli ultimi venti anni (vedi le stagioni della Juve e quella con il Barcellona). Uno che negli ultimi quattro ha fatto breccia nel cuore dei newyorkesi riuscendo ad entrare nella storia del club con 122 presenze (nono ogni epoca, settimo per partite da titolare e minuti giocati), il titolo di Mvp della squadra, leader in gol vincenti (14) ed assist vincenti (11) nel 2012 (perdendo nel rush finale quello della Lega) e quattro volte All-Star della Major League Soccer. Capitano dei Red Bulls dal 2013 dopo aver condotto la franchigia newyorkese alla post season per la prima volta dopo il 2008. Cinquantuno goals totali e per i più appassionati meglio conosciuto con il nome di ‘Henrywood’ per quello che il francese riuscì a fare nel maggio del 2011 in un match contro i Los Angeles Galaxy di David Beckham (per dare un’occhiata cliccate qui per il gol http://gfycat.com/RevolvingCommonAyeaye#). 
Il fotomontaggio con dedica da parte dei NY Red Bulls
Insomma senza giri di parole ormai un’icona del calcio statunitense. Eppure non è sempre stato cosi. Già perché prima di mettere piede sul suolo americano, puoi essere stata un’icona del calcio inglese con la maglia dell’Arsenal, puoi aver vinto un europeo (2000), un mondiale (1998), una Confederations Cup (2003) ed essere stato uno dei migliori giocatori transalpini degli ultimi quindici anni, tutto si azzera, tutto diventa relativo ed in funzione di una sola cosa: rifare quello che hai fatto sotto gli occhi a stelle e strisce dei tifosi. Il tutto poi si ‘relativizza’ se la città in questione è quella della Grande Mela. A New York lo sport non è una passione più o meno sviluppata come di solito si può avvertire in qualsiasi parte del globo terrestre: è una vera e propria religione e il sottoscritto ha respirato questa fede in prima persona. Che si parli di un pallone da prendere a calci, di una pallina da colpire con una mazza di legno, un dischetto nero che vaga veloce su del ghiaccio con uomini pronti anche a scazzottarsi dopo spintoni come ragazzi su di giri in un normale Bowling di periferia, o ancora quella ovale per la quale in Texas – tanto per fare un esempio – c’è anche chi sarebbe disposto a donare parte di se per vincere il classico derby di Football collegiale, il sentimento viscerale con il quale è seguito il tutto è di altissimo livello. Un sentimento viscerale che mette tutti sulla graticola sin dal primo giorno ed anche senza aver mosso un solo dito ed io ne fui testimone proprio in una sera al Madison Square Garden. L’essere all'altezza di portare in dosso una divisa con su impresse le tre le lettere più famose al mondo, è il solo credo da rispettare quando si è nuovi a questo mondo, specie se la provenienza è quella Europea. Eppure per ‘Titì’ sarebbe stato facile chiedere ad un altro Europeo che è stato visto con sospetto e che addirittura si è preso dei fischi nel suo giorno più importante da Pro. Era il 2008, il contorno sempre quello del Madison e alla numero 6 i Knicks scelgono Danilo Gallinari dall’Olimpia Milano. Dopo l’annuncio di Stern nel suo cammino verso il palco per la classica cerimonia della stretta di mano con il Commissioner in persona e che spetta di diritto ad ogni giocatore chiamato al primo giro prima di abbandonare al vice l’arduo compite per tutta la restante parte della serata, dagli spalti arrivarono segnali di non approvazione sotto forma di fischi e di ‘buh’, che con ogni probabilità non avevano come destinatario diretto lo stesso Gallinari, ma il front office dei Knicks che a detta dell’opinione pubblica poteva fare meglio (o anche a Gallinari, ma questo non lo sapremo mai). Eppure è bastato che il Gallo fosse al top fisicamente, è bastato che l’ex Olimpia infuocasse il tutto con qualche tripla, difesa o schiacciata in più per far si che il suo nome, volto e numero di maglia divenissero una sorta di ‘dio’ da idolatrare sulla’altare del Madison. Già il Madison. La stessa arena che nel suo primo arrivo negli States da giocatore dei New York Red Bulls, fu scuola per Henry per capire che in fondo solo perché sei Thierry Henry, non vuol dire che automaticamente sei un idolo della folla. Eppure il francese lo doveva capire dalle prime schermaglie di quel 17 di Gennaio del 2011 che non era il momento giusto per ostentare la sua 'notorietà oggettiva' di calciatore di fama mondiale. Al Madison c’erano gli Heat, la folla era inferocita e calda come non mai dopo la decisione di LeBron James di preferire South Beach alla Fifth Avenue (ma di questo ne parleremo in un altro racconto) e sullo schermo gigante durante l’intervallo le solite inquadrature a personaggi famosi e ‘players’ della Grande Mela. Consueto il tributo a Spike Lee, senza fine l'ovazione per Derek Jeter capitano degli Yankees, timidi gli applausi per un volto che era stato sulle prime pagine sportive dei giornali locali negli ultimi tempi per il suo approdo ai Red Bulls: quello di Thierry Henry. Tutto normale si poteva pensare, ma non per tutti. 
L'esultanza del francese in uno dei suoi 51 goals in maglia Red Bulls
Non per tutti perché aprendo una piccola parentesi legata a quanto detto sull'essere viscerale della passione degli americani e dei newyorkesi in particolare, non tutti possono sapere cosi di primo acchito e alla semplice vista che tu sei quel ‘Titì’ che ha vinto il mondiale o infuocato le anime inglesi dell’Arsenal. Ed allora ecco che la notorietà calcistica europea, si schianta al suolo. Il match finisce, gli Heat vincono la partita, Gallinari ne segna 20 con 10 rimbalzi (James 24, ma a vincerla fu Wade che chiuse a quota 34), il pubblico continua il proprio show, la stampa e gli addetti ai lavori si avviano verso gli spogliatoi per il classico rituale delle interviste durante il periodo di ammissione alla locker room. L’aria di attesa per il lato degli spogliatoi degli Heat era frenetica, il gesto in cui tutti erano impegnati era quello di allungare il braccio, liberare l’orologio e dare uno sguardo al conto alla rovescia. Non per tutti ovviamente. Nomi e volti importanti hanno via libera per il semplice fatto di essere nomi e volti importanti. In questo via vai si vede arrivare un atletico uomo di colore e ben vestito, che si avvicina alla porta e tenta di entrare. A fermarlo è il classico signore anziano in tenuta verde con tanto di cappello, insomma il nostro steward di turno (da sottolineare anziano e il nostro classico steward) che esordisce: «Please you need to wait. It’s not allowed yet. Ten minutes missing» che letteralmente sta per mancano ancora dieci minuti abbi pazienza. Di fronte lo stesso uomo di colore replica dando vita al più bel botta e risposta della mia esperienza americana: «I would like to meet LeBron James» (vorrei incontrare LeBron James); «Absolutly, you need to wait just ten minutes (certamente, basta aspettare dieci minuti)» le parole dell’addetto alla porta; «But I’m Titì Henry…(ma sono Titì Henry)» insiste l’uomo, «Ohh nice to meet you, but you need to wait ten minutes (ohhh piacere di conoscerla, ma deve aspettare dieci minuti)» l’ultima risposta dell’uomo che nel pronunciare quelle parole aveva anche allungato la mano per lo ‘shacking’ rituale della stretta di mano. Ilarità generale tra i presenti (risate grasse per due giornalisti spagnoli che con ogni probabilità non avevano apprezzato la sua annata al Barça) prima che le porte si aprissero, anche per Thierry Henry. Welcome to New York City qualcuno avrà pensato, ma di sicuro a distanza di anni, ma forse anche di qualche mese (al gol contro i Galaxy fu eloquente l’esultanza indicando il nome dietro la maglietta), quello stesso steward o chiunque altro avrebbe aperto la porta al solo vederlo arrivare in lontananza. Ma il cuore newyorkese necessita prima di infiammarsi per poi regalarti il calore che un campione merita da una piazza che lo sport ce l’ha nel sangue. Anzi facciamo nel Dna.

Storie di un 'vecchio diario' Americano
To be continued…

Domenico Pezzella

sabato 20 dicembre 2014

LA FRONTIERA INDIANA

-->
Mohammed Rafique, l'uomo del destino dell'Atletico
Una stagione decisa OLTRE L’ULTIMO SECONDO. Non potevamo iniziare in modo diverso questo viaggio nello sport mondiale. Una stagione, tre mesi di partite, tutto che si decide al minuto 94 e 5 secondi. In mezzo a tante stelle (o presunte tali), decide un illustre sconosciuto (come piace a noi). La prima è andata. Davanti ai 36.484 spettatori del DY Patil Stadium di Mumbai, l’Atletico de Kolkata si laurea vincitore della prima edizione della Indian Super League che ha coinvolto otto squadre e portato tante ex stelle del calcio in questa nuova frontiera: vittoria del team iberico-indiano, dunque, per 1-0 sul Kerala Blaster con gol di Mohammed Rafique che c’ha messo la testa quando ormai i supplementari erano imminenti. Un colpo di testa dell’uomo venuto dal niente, che nessuno conosceva, che entra nella storia. Ok basta cronaca, non fa per questo blog: spazio alle sensazioni che ha lasciato questo viaggio di calcio durato tre mesi. Ammetto di aver scommesso i soliti spiccioli anche su questa Lega nuova, poco innovativa, ma clamorosamente divertente. Se Federico Buffa gli ha dedicato uno speciale, allora qualcosa di magico deve avere anche il ‘futbol indi’. Scene allucinanti, partite dal basso profilo tecnico ma combattute. Ne ho viste parecchie, per fortuna o purtroppo, e comunque c’è stato di che guardare. Azioni, movimenti, gesti che sembravano film già visti ma stavolta sono in salsa curry. Silvestre che entra duro, Ljungberg ed i suoi tocchetti, Falvey che si fa tutta la fascia senza mai fermarsi. E poi Alessandro Nesta che, come al solito, deve abbandonare il campo di battaglia per un infortunio muscolare o Marco Materazzi che si fa espellere ed esce dal campo mostrando il dito come contro l’Australia ai Mondiali di Germania. Calamity James che ha fatto il mister ma non ha mollato i guanti da portiere. Altri allenatori di prestigio come l’immenso Zico, ma anche Peter Read e Franco Colomba. Così come lo stesso Materazzi che, però, in campo si è anche visto e pur andando piano riusciva a fare la differenza. Come Elano ma anche Katsouranis, Gustavo, Koke e Slepicka.  Un po’ meno Alessandro Del Piero, icona di questa ISL, ma poco utilizzato e tanto venerato (intanto ha fatto un gol anche qui e non è proprio poco). Stesso discorso per Trezeguet e Pires che c’erano ma in pochi se ne sono accorti. Che dire dei giocatori locali? Se l’India occupa il posto 170 della classifica FIFA (su 209) ci sarà un motivo. Tanta generosità, tanta corsa, piedi rivedibili, movimenti tattici anche: a volte ho pensato di potercela fare anche io a stare in campo con loro. 
La gioia dei primi campioni della ISL
Volti scolpiti ed occhi profondi, fisici non da livelli superiori, facce degne di Bollywood, da cinema o qualche videoclip musicali (quelli indiani sono veramente uno spasso) e non da futbol. Il calcio indiano è stato un meltin pot di tutto: arbitri scadenti, con la pancia, che a stento sanno le regole ma sono divertenti e buffi da vedere. Talmente scadenti che, spesso, si è dovuti ricorrere ai migliori fischietti asiatici per alcune sfide di cartello.Recuperi anche di 10 minuti a tempo viste le clamorose perdite di tempo dei giocatori, alcune anche goffe. Alcuni campi di patate, fossi e buche degne dell’italica periferia. Magliette di gioco che non indosseremo neanche nel torneo con gli amici (alcune veramente indecenti). Twitter massacrato di messaggi visto che c’era un hashtag per ogni partita ed il popolo indiano ha partecipato copiosamente anche sul web. Pubblicità a tutto spiano negli stadi con moto e macchine in bella mostra e, a volte, vittime di pallonate e staffilate. Stadi da cricket prestati al calcio, quasi una ‘plaza de toros’ per la sua forma circolare. Ma anche tanto, tantissimo, pubblico: colorato, sorridente, divertito e divertente come non si vede in Europa da troppo tempo. Un pubblico con le divisioni sociali in bella vista: magnati ricchissimi nei palchi presidenziali, gente umile ammassata negli altri settori ma tutti con la divisa della propria compagine (originale o falsa non fa differenza). Finisce qui la prima avventura del calcio professionistico indiano. Grazie a tutte le squadre (Atletico de Kolkata, Chennaiyin, Delhi Dynamos, FC Goa, NorthEast United, Kerala Blaster, Mumbay, Pune City). La prima coppa finisce a Calcutta, in attesa della seconda edizione.

Camillo Anzoini

IL NOSTRO MANIFESTO

Prime righe, primo manifesto di quello che vogliamo essere nel variegato ed infinito mondo del web. Nulla di innovativo, zero effetti speciali, solo il desiderio di dare un pizzico di nobiltà allo sport: non chiediamo altro a questo spazio che nasce oggi e vuole andare OLTRE L’ULTIMO SECONDO di un qualsivoglia evento sportivo. Proveremo, cercheremo, di dare un volto a protagonisti famosi delle varie discipline ma, soprattutto, vorremmo raccontare anche di chi è lontano dalle luci della ribalta. E’ uno spazio aperto e libero: daremo la possibilità, a tutti coloro che vorranno, di scrivere quello che pensano. Giornalisti, amici, colleghi ma anche semplici appassionati troveranno un porto sicuro per le loro idee in questo spazio. Lo sport come pretesto per raccontare una storia: sociale, ma anche altri argomenti. Ci piace l’idea di poter abbinare lo sport ad una canzone, ad un libro o un film: insomma lo sport a tutto tondo. Se cercate cronache asettiche, tabellini, commenti, interviste pre e post gara, classifiche e schede, beh avete sbagliato spazio (seguiremo solamente le mitiche gesta degli RFC Lions e dell’Atletico PKH, visto che ci giochiamo). Il compito di raccontare lo sport in modo canonico lo lasciamo a colleghi e siti di maggiore prestigio rispetto al nostro. Noi vogliamo raccontare una storia che va OLTRE L’ULTIMO SECONDO di una partita, di un match, di una sfida. Dopo la fine, c’è sempre qualcosa di diverso da dire (si spera). C’è la possibilità di capire meglio la gioia del vincitore o l’amarezza dello sconfitto. C’è la possibilità di vedere una vittoria anche dietro una sconfitta. Insomma, OLTRE L’ULTIMO SECONDO si nascondono storie, momenti ed attimi di vita che rendono magico un qualsiasi evento sportivo. A noi non sono mai piaciuti coloro che abbandonano il loro posto prima della fine. Chi lascia uno stadio, un palazzetto, quando c’è ancora da giocare, non rende giustizia alla bellezza dello sport. Anche perché, è sempre vero il detto, “non è mai finita finchè non è finita”. E lo sport non finisce mai. Perché un evento sportivo va vissuto fino alla fine, fino all’ultimo secondo. A volte anche OLTRE L’ULTIMO SECONDO.

Ovviamente, contemporaneamente al blog, verrà aperta una pagina Facebook dove verranno postati articoli e commenti, dove tutti potranno esserci di aiuto nel percorso di crescita e miglioramento. Siamo pronti, si comincia.