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Smith e Carlos sul podio delle Olimpiadi di Città del Messico |
Il
terzo lunedì di Gennaio gli americani, noti per molte cose ma anche per il loro
attaccamento alle mille celebrazioni annuali, hanno commemorato Martin Luther
King, il leader per la lotta all'uguaglianza razziale. Da Washington a New
York, passando per Seattle e Boston, diverse sono state le citazioni per
ricordare quest'uomo che credeva nei diritti civili. Bene, come potevamo non
rievocare una guida di tale spessore anche noi, considerando che lo sport e gli
sportivi, dagli anni 60 ad oggi, hanno spessissimo fatto riferimento a Luther
King e alla sua lotta alle discriminazioni. Tra tanti ho scelto un
episodio e due persone che un giorno, il 16 Ottobre 1968, hanno cercato di fare
la differenza.
Sono
Tommie Smith e John Carlos due atleti che svegliarono il mondo dai gradini del
podio olimpico di Città del Messico. Sei mesi prima a Memphis c'era stato
l'assassinio di M.L.K. Subito dopo era toccato a Robert Kennedy e molti
sportivi stavano valutando l'ipotesi di boicottare i Giochi anche cavalcando
l'onda polemica di Muhammad Ali, che aveva appena rifiutato l'arruolamento
nell'esercito per motivi di coscienza e si era visto strappare il titolo dei
pesi massimi, e di Kareem Abdul Jabbar, cestista, che cercò di rinunciare
proprio alla nazionale olimpica. Insomma, era un periodo molto travagliato
fuori e dentro dagli stadi fatto anche di proteste studentesche represse col
sangue dal governo messicano (la famosa strage del 2 ottobre a Tlatelolco dove
rimase ferita anche la scrittrice Oriana Fallaci).
Tommie Smith, texano
nato nel giorno dello sbarco in Normandia e cresciuto riempiendo ceste di
cotone, e John Carlos, nato ad Harlem e arrivato allo sport con una borsa di
studio, erano tra i velocisti più forti del paese e infatti salirono entrambi
sul podio quel caldo giorno di Ottobre, uno al primo e l'altro al terzo
gradino. La differenza, di cui vi parlavo prima, la fecero nel momento in
cui partì l'inno.
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Anni dopo ripropongono il gesto che li ha resi famosi |
Lo ascoltarono col pugno chiuso, in un guanto nero, contro il
cielo, senza scarpe ma con calzini neri e la testa bassa e portarono il Black
Power dentro il recinto sacro dello sport. Con
quel gesto entrarono nella storia e nei poster di una generazione.
Icone di
un'epoca di grandi cambiamenti che due atleti infiammarono pacificamente nel
momento più' alto della loro carriera, pagando quell'atto di coraggio civile
con l'isolamento e l'ostracismo per tutta la vita ma dedicanti
quella medaglia ai fratelli e alle sorelle che venivano linciati, umiliati ed
esclusi nella terra delle pari opportunità. Qualcuno
su di loro ha scritto: 'Gli sprinter che fecero la rivoluzione con un pugno,
senza far male a nessuno. Dopo di loro lo sport non sarebbe più' stato così
politicamente sfrontato. Ma nemmeno, più, così innocente'.
Tiziana
Tavilla
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