lunedì 25 maggio 2015

THANK U STEVIE G

Steven Gerrard con la sua amata del Liverpool
Ha chiuso come doveva farlo, come gli Dei del futbol avevano scelto che finisse, come doveva finire questa favola tinta del rosso della divisa e del sangue versato. Steven Gerrard ha segnato nella sua ultima partita con la maglia del Liverpool, la squadra del suo cuore; è l’unica che ama, l’unica che ha indossato in Inghilterra, l’unica con cui ha vinto qualcosa.  L’unica e sola divisa che ha voluto indossare nella sua nazione e, infatti, è pronto a volare negli States. Una sola maglia per tutta la vita. Ha segnato allo Stoke, i Reds hanno imbarcato, ma Stevie G ha fatto il classico gol della bandiera. E lui è e sarà sempre la bandiera della squadra della sua città. Una storia affascinante, il sogno di ogni bambino che diventa realtà: difendere i colori del team del cuore. I numeri della sua carriera a Liverpool è inutile elencarli. La storia da raccontare è un’altra. Il 15 aprile 1989 a Sheffield c’è un bambino di 10 anni in trasferta per vedere la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forrest. Lo stadio di Hillsborough è stracolmo e non riesce a contenere il flusso di tifosi provenienti da Liverpool. Il settore Leppings Lane poteva accogliere 14.600 tifosi. Ne arrivarono molti di più e c’era sempre quel bambino con la sua sciarpa rossa al collo. Nel Gate C succede di tutto, la calca travolge gli spettatori. Travolge anche quel povero bambino di 10 anni. 
 Stevie G agli esordi coi Reds
La partita ha, clamorosamente, inizio ma al 6’ si ferma: sembra un’invasione di campo, invece sono i tifosi che cercano di scappare alla morte. Una morte che colpirà 95 persone ed un bambino. Quel bambino di nome Jon-Paul Gilhooley aveva solo 10 anni. A Liverpool c’è suo cugino, quello con cui Jon-Paul giocava a pallone per la strada. Quel bimbo di 8 anni non riabbraccerà più il suo amato cugino. Il bimbo che piange nella sua casa è, per tutti, Stevie. Qualche anno dopo il mondo lo conoscerà: è Steven Gerrard. Il 13 aprile del 2014 c’è stata la solita commemorazione ad Anfield Road: tutto vestito di rosso, col grido ‘You’ll never walk alone’ (Non camminerai mai solo), Gerrard ha guidato la sua truppa alla vittoria contro il Manchester City. Da fiero capitano, come ha fatto per tantissimi anni. Venti anni dopo Hillsborough è emersa la verità ed il mondo ha capito che non era colpa dei tifosi vestiti di rosso. Domenica ha segnato nella sua ultima partita con la maglia della sua squadra del cuore. Doveva essere questo, comunque, il finale più giusto per Steven Gerrard, quel bambino di 8 anni che piangeva per la perdita del cuginetto Jon-Paul; quel bambino è diventato un uomo, è diventato il capitano del Liverpool, è l’uomo che pensa ogni giorno alla strage di Hillsborough ed ora non indosserà più la maglia dei Reds, è l’uomo che ha reso possibile il sogno di ogni bambino, è stato il condottiero anche nel ricordo eterno del cugino morto a Sheffield con la sua sciarpetta al collo. Adesso sarà un pensiero dolce che non camminerà mai solo nel cuore della gente di Liverpool.

Camillo Anzoini



L'addio ad Anfield Road



Le giocate più belle in maglia Reds sulle note dei Sigur Ros




giovedì 21 maggio 2015

MATATI I BULLS, L'ATLETICO PKH CHIUDE TERZO

Una fase della finale per il terzo posto
SANTA MARIA A VICO BULLS         44
ATLETICO PKH                               60

SANTA MARIA A VICO BULLS: Nuzzo 8, Zimbardi 6, Crisci 9, Chiarizio 2, Della Rocca 4, M.Affinita, Guida 9, Franchini, Ferraro 6, Petrone. All. Fuccio.
ATLETICO PKH: Pezzella, Russo 15, Chianese 2, Lanzante, Iodice 21, Laudisio 9, Anzoini 3, Romitelli, Ranieri 4, Landolfo 2, Baccaro 4.
ARBITRI: Aliperti e Canzano.
PARZIALI: 17-11, 19-26, 28-48.


La finale secca per il terzo posto stagionale premia l’Atletico PKH (targato GoldwebTv, Caserta Drink Øl, GoldBetCafè, Centro Genesis, T&T Impianti e Copynet) che sbanca il Pala Bachelet e mata i tori vicani al termine di un match giocato con estrema sportività dai due team (20 falli fischiati in 40’). Tantissime assenze su ambedue i fronti, tantissimi minuti in campo a giocatori che si sono visti poco nel corso della stagione ma vittoria meritata dai casertani che, dopo una partenza non esaltante, hanno messo il turbo nella fase centrale del match. Un break di 11-37 in 20’ che ha spezzato la partita: bravi tutti i casertani ma meritevoli di un plauso anche i vicani che, crollati sul -21 nel quarto periodo, hanno risalito parte della corrente fino al -11 prima di cedere nuovamente nel finale. Bel clima, una festa per la Uisp casertana che, dunque, saluta la terza piazza dell’Atletico PKH mentre i Bulls, autori di una stagione da incorniciare, chiudono al quarto posto.
LA CRONACA. Quintetti inediti per le due squadre, l’Atletico lancia Tanaka Lanzante tra i cinque in avvio; partenza a rilento dei rossoblù che in attacco sbagliano tantissimo mentre la difesa bulgara 2-3 viene bucata subito da una bomba di Nuzzo. I Bulls continuano a colpire col totem Crisci in vernice e Guida; i casertani crollano sul 14-5 al 6’. Piano piano il PKH si rialza preso per mano da Baccaro, ancora una volta autore di un ottimo match, e l’eterno Iodice che, nonostante un problema al ginocchio, stringe i denti e gioca alla grande. Il primo quarto finisce sul +6 SMAV ma la partita inizia a girare. Il secondo periodo è un monologo del PKH: i Bulls segnano solo due punti con Zimbardi e vengono investiti dalla precisione, oltre l’arco, degli avversari. Russo e, due volte, Iodice spezzano la partita ma c’è la firma anche di Ranieri e di una difesa che, ancora a zona, non concede più nulla. L’inerzia è tutta dei rossoblù che recuperano Laudisio nell’intervallo: i Bulls fanno una fatica disperata a segnare mentre il loro canestro è grande come una vasca da bagno. Iodice, Iodice, Laudisio, Laudisio: in 4’ piovono quattro bombe nella retina dei tori che crollano sul 21-38: arriva anche la firma di Russo e l’Atletico PKH tocca il +21 ad inizio del quarto periodo con Ranieri dominatore del verniciato. Una reazione di grande orgoglio dei vicani sembra riaprire la partita: il break di 10-0 firmato da Crisci, Ferraro e Zimbardi ridà una speranza ai locali (42-53 al 37’). Russo, con una tripla dal parcheggio del Bachelet, smorza la rimonta dei Bulls; il PKH ha tempo di mandare a bersaglio anche Chianese e Landolfo mentre Tanaka Lanzante va vicinissimo al primo canestro della sua carriera. Suona la sirena: +16 PKH e terzo posto finale per i casertani.

venerdì 15 maggio 2015

LA PUNIZIONE DELLA VITA

La figurina di Joseph Mwepu Ilunga
Di cosa parlo questa settimana?
La scelta dell’argomento è stata molto semplice.
Venerdì scorso è morto un africano. Uno dei tanti state pensando. Uno che cercoò di salvarsi da morte certa come tanti, questo si, ma non su un barcone ma durante i Mondiali del ‘74 in Germania.
Joseph Mwepu Ilunga è morto a 65 anni per una malattia di quelle cattive e probabilmente il suo nome non vi dirà niente ma la sua storia si. Ilunga è stato per tanti anni 'il calciatore che non sapeva le regole'.
E' il 22 Giugno del 1974 e l'allora Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) affronta, nel corso della coppa del mondo di calcio, il Brasile che era il campione in carica. Prima però di continuare, vi devo dire un paio di cose fondamentali per capire cosa in realtà successe quel giorno. La prima è politica. Il paese africano in quel momento era governato da Mobutu Sese Seko, uno tra i dittatori più feroci della storia. La seconda è che lo Zaire si qualificò a quei Mondiali per la prima volta nella sua storia e proprio Mobutu, secondo il suo programma di 'autenticità africana', vedeva questa qualifica come un importante strumento di affermazione internazionale.
Detto questo, la partita era sul 3-0 per il Brasile quando Rivellino, al minuto 85, si appresta a calciare una punizione fuori aerea ma, improvvisamente, un giocatore avversario uscì dalla barriera calciando via fortissimo il pallone. Stadio ammutolito, giocatore ammonito e tutti sconcertati. Quel calciatore era Ilunga Mwepu.
Il celebre momento quando esce dalla barriera
Per anni Mwepu è stata un'icona naif per molti grazie a questo gesto estremamente comico. La verità, molto meno divertente, venne a galla nel 2002 in un'intervista che rilasciò alla Bbc. Mobutu, dopo la sconfitta nella gara di esordio (2-0 con la Scozia) e quella con la Jugoslavia (9-0 emblematico) aveva minacciato loro e le loro famiglie. Lo stesso Ilunga dichiarò: "Pensavamo che saremmo diventati ricchi, appena tornati in Africa, ma dopo la prima sconfitta venimmo a sapere che non saremmo mai stati pagati e quando perdemmo 9-0 gli uomini di Mobutu ci vennero a minacciare. Se avessimo perso con più di tre goal di scarto col Brasile, ci dissero, nessuno di noi sarebbe tornato a casa. (…) Fui preso dal panico e calciai il pallone lontano. I brasiliani ridevano ma non capivano cosa io provassi in quel momento".
Questo fu il gesto con la quale è diventato un'icona comica del calcio, il video della punizione ha centinaia di milioni di visualizzazioni, ma questa storia merita di essere raccontata perché è uno dei tanti esempi di come calcio e politica siano profondamente collegati e perché, soprattutto adesso che è morto, Mwepu potrà essere ricordato e capito senza più' vergogna.

 Tiziana Tavilla

mercoledì 6 maggio 2015

MAYWEATHER-PACQUIAO, LA REAZIONE DEI GIOCATORI NBA

‘The Greatest fight ever’. Il più grande incontro di sempre. L’incontro del secolo. Cosi era stato presentato, cosi era stato ‘venduto’ ai media e a tutti coloro che vedendo i diretti interessati non potevano fare a meno di pendere dalle labbra del venditore.
Da una parte un 48-0 in carriera ed una ‘crew’ intorno che dice praticamente tutto racchiudendo la sua essenza sotto il nome di TMT al secolo The Money Team. L’altro 46 vittorie qualche sconfitta e quella macchia nerissima del knockout contro Marquez che nemmeno le due vittorie nettissime e senza diritto di replica hanno cancellato (il cadere a terra dopo il pugno preso è stato ‘vittima’ di qualsiasi tipo di caricatura e che ha avuto una dispersione virale sul web).
Floyd Mayweather contro Manny Pacquiao. In poche parole i due più grandi pesi welter mai visti in circolazione. Lo scenario non poteva che essere quello del Nevada e della città delle luci di Las Vegas, quello che si è visto sul ring a quanto pare non è piaciuto a tanti; sia per il risultato finale che per quanto riguarda lo show. Tanti i nasi storti, tante le facce deluse sia nel parterre dell’MGM di Las Vegas, sia a casa davanti alla tv. Ne sanno qualcosa i giocatori Nba che durante e dopo il match hanno tweetato come non mai il loro pensiero. 
Il più scatenato di tutti Draymond Green dei Golden State Warriors. Non uno ma ben tre tweet per esprimere il suo dissenso nei confronti delle critiche che lo statunitense imbattuto Mayweather ha ricevuto, ma anche sull’andamento del match (come potete vedere dalla foto). Il più significativo del compagno di squadra di Steph Curry? Questo: «E poi dicono che non ha salvato la boxe sulla Espn. Lui ha definitivamente salvato la boxe. E viene criticato per la vittoria».
Molto, ma molto più deluso ed esplicito Nick Young dei Los Angeles Lakers che racchiude tutto in tre parole: «Weak ass Fight». Provate ad usare un po’ di fantasia per la traduzione.
Disappunto, ma molto meno esplicito e molto più garbato, quello di Charlie Villanueva che l’ha messa sulla questione economica e sul prezzo di un biglietto che avrebbe dovuto vendere un qualcosa di molto più spettacolare. E poi lui WunderDirk. Nemmeno Dirk Nowitzki si è tirato indietro: «Expected more. Floyd too long and quick».
Si potrebbe andare ancora per molto, ma se volete per dare un’occhiata a tutti i tweet dei giocatori Nba date un’occhiata alla raccolta fatta da Slam On Line per i suoi lettori:



Domenico Pezzella

IL GRANDE PIANTO

La formazione del 'Grande Torino' del 1949
Questa settimana, per tutti gli appassionati di calcio, quelli seri chiaramente, è stata una settimana di commemorazione. Cosa e chi si è pianto? Ve lo spiego io.
Il Torino Footbal Club, o Torino, o ancora più semplicemente ‘Il Toro’, è una società calcistica per azioni italiana con sede nella città da cui prende il nome.
Ha giocato una finale di Coppa Uefa, vinto 5 Coppe Italia, 1 Coppa Mitropa e 7 Campionati Italiani di Serie A compresa una striscia di 5 consecutivi all’epoca del Grande Torino.
Ed è proprio con quella squadra imbattibile degli anni ‘40 che si ebbe il trionfo del Toro.
Sono stati i primi a vincere l’accoppiata scudetto e Coppa Italia nello stesso anno ma soprattutto furono le colonne della nazionale per molti anni.
A fermare queste vittorie, ad opera di Valentino Mazzola e compagni, non fu la fine di una stagione ma un viaggio su un aereo sfortunato il 4 Maggio 1949.
Fu il trimotore Fiat G. 212 delle Avio Linee Italiane a cadere nel pomeriggio di quel giorno.
L’aereo decollò da Lisbona alle 9:40 guidato dal tenente colonnello Pierluigi Meroni, e fece il primo scalo a Barcellona alle 13:00. I giocatori ebbero il tempo di pranzare con i colleghi del Milan, diretti a Madrid incontrati per caso, e ripartirono alle 14:50 diretti a Torino, sorvolando Nizza e Savona. Proprio qui l'aereo virò verso nord per chiudere la rotta a destinazione ma il tempo era pessimo e i piloti ebbero molti avvertimenti che la situazione meteorologica era difficile date le basse nubi, la forte pioggia, il libeccio possente e la visibilità scarsissima.
La torre chiese quindi un ritorno di posizione ma fu rassicurata dal colonnello pilota.
Quest'ultimo però non fece i conti con la Basilica di Superga posta a nord di Pino Torinese sull'omonimo colle.
Da questo momento in poi fare una giusta cronistoria di quello che successe è molto difficile.
Si ipotizza che, a causa del forte vento, l'aereo virando potesse aver subito una deriva verso dritta che lo allineò alla Basilica ma, recenti indagini hanno optato per un'altra tesi. Sostengono che l'altimetro si fosse bloccato sui 2000 metri quindi inducesse i piloti a credere di essere a tale quota quando in realtà erano a soli 600 metri dal suolo.
Resta comunque il fatto che alle 17:03 si schianta contro il terrapieno posteriore della Basilica di Superga. Meroni si vide spuntare le mura davanti a 180km\h e con 40 metri di visibilità accertata, quando invece credeva di averla alla sua destra, e non ebbe il tempo di fare nulla.
31 erano le persone a bordo e 31 furono i morti.
La vita calcistica della squadra da qui in poi fu molto travagliata fino alla retrocessione in serie B nel 1959 e a noi oggi rimane la fine di una bella storia e un’elica, pezzi vari della fusoliera, uno pneumatico e le valigie di Mazzola, Maroso ed Erbstein conservate al Museo del Grande Torino e Leggenda Granata in Villa Claretta Assandri di Grugliasco.


Tiziana Tavilla

martedì 5 maggio 2015

PHOENIX ANCORA IN FINALE, ATLETICO KO MA A TESTA ALTA

PHOENIX                           59
ATLETICO PKH                  58

PHOENIX: Barbato 8, Canzano, Pepe, Visca 7, Buzzoni 17, Proto 14, Pirone 4, Iannucci, De Angelis, Paragliola, Landolfi, Spadaccio 9. All. Zanforlino.
ATLETICO PKH: Pezzella, Russo 16, Stellato 2, Argenziano 7, Mazzariello, Laudisio 3, Anzoini, Di Silvestro, Romitelli, Ranieri 14, Visone 5, Baccaro 11.
ARBITRI: Alfieri e De Lillo.
PARZIALI: 16-10, 29-19, 44-33.


Ennesimo capitolo del libro ‘il basket è un gioco meraviglioso’: nella splendida cornice del Pala New System, i campioni in carica dei Phoenix (griffati Guggenheim Birrarium, Dolcemente, Laboratorio di analisi Igea, Meditek dott.Bellofiore, Guappa, Ottica Riccio, Locanda Battisti, Pizzeria I Masanielli, Lido Il Pirata e Beautystyling) vincono la ‘bella’ e volano nella finalissima per il titolo dove troveranno gli All Greens Piedimonte Matese. L’Atletico PKH (targato GoldwebTv, Caserta Drink Øl, GoldBetCafè, Centro Genesis, T&T Impianti e Copynet) perde ma esce dal campo a testa alta e fiera per l’ennesima encomiabile prova messa in piedi. Senza Iodice e Chiacchio, con Mazzariello, Laudisio e Visone stoicamente in campo nonostante i problemi fisici, i rossoblù si fermano ad un passo dal miracolo sportivo. Sempre avanti i viola (privi di capitan Razza), sempre con un vantaggio consistente che ha toccato anche il +13 nel quarto periodo ma il cuore del PKH ha nuovamente fatto tremare i campioni in carica. Ancora una remuntada pazzesca che si è fermata sul ferro che, beffardamente, ha negato il sorpasso, negli ultimi secondi, sulla tripla di un grandissimo Baccaro. Ha vinto chi ha meritato avendo condotto il match dall’inizio alla fine, è giusto che sia andata così, ma non ci sono perdenti in questa serie: in finale vanno i Phoenix, l’Atletico esce ma deve essere orgoglioso della sua prova.
LA CRONACA. Lo scorso anno fu una mattanza la ‘bella’ tra Phoenix e Atletico, i primi minuti lasciano intravedere lo stesso copione: i rossoblù non segnano mai, sbagliano tantissimo, perdono tonnellate di palloni mentre Buzzoni e Proto firmano l’immediato 8-0. Il primo sussulto del PKH porta la firma di Argenziano dalla lunga distanza, ma Buzzoni è scatenato (12 punti nel periodo) ed i locali hanno sempre un vantaggio cospicuo. Ranieri, in vernice, stoppa qualsiasi cosa passi nei suoi paraggi, ma sono Stellato e Russo (con due triple) a firmare il 20-15. L’Atletico fa una fatica disperata a muovere il tabellino, si sbaglia qualsiasi cosa ed i Phoenix cercano la nuova fuga con Proto, Pirone e Spadaccio (29-17) anche perché i rimbalzi offensivi fanno la differenza. Solo Baccaro, con quattro punti sul finire di periodo, riesce a tenere a galla i suoi. Il +10 dell’intervallo lungo va anche stretto ai Phoenix che difendono bene ed hanno in Iannucci e Barbato due fantastici mastini che mordono le caviglie del cecchino Russo. Nella ripresa Laudisio e Visone si sbloccano dalla lunetta ma continua il momento agonico del PKH: Proto si dà un gran da fare ma è il solito Spadaccio a mettere i punti dell’allungo sul 39-26. Gli ospiti calano il jolly: Baccaro (7 punti nel quarto) gioca una partita meravigliosa ed insieme a Ranieri (doppia doppia tra rimbalzi e punti) regala ancora una speranza al PKH che va sul -11 all’ultimo ‘stop and go’. Gli ultimi 10’ sono sconsigliati ai cardiopatici: Russo si accende con un gioco da 4 punti ma Visca ed un immenso Barbato (due bombe nella sua serata) ricacciano indietro l’Atletico (52-39). Ormai sono pronti i festeggiamenti in casa Phoenix ma, per la terza volta nella serie, il PKH non vuole mollare: Argenziano, Russo e Ranieri accorciano le distanze sul -6. Proprio Russo, però, esce per falli al 37’ ma non è ancora finita: i viola non segnano più, solo Buzzoni fa qualcosa in attacco ed i liberi di Visone sentenziano il 54-52 a 50” dalla sirena. La difesa del PKH è commovente, ennesima palla recuperata e tripla aperta per Baccaro: ferro, ferro, ferro e fuori. Proto non trema dalla lunetta ma Argenziano replica in penetrazione (-4 a 30” dalla sirena). Qui l’Atletico sbaglia una rimessa che consente a Visca di mettere il sigillo al match che si chiude con la perla di Ranieri che, da centrocampo, realizza un pazzesco buzzerbeater. Applausi a vincitori e vinti.