mercoledì 28 gennaio 2015

GIUSTIZIA PER IL PIRATA

Marco Pantani vive nel cuore di tutti
Marco Pantani (il Pirata)
Cesena 13\1\1970
Rimini 14\2\2004
Ciclista su strada (scalatore puro)
46 vittorie in carriera
1 giro d'Italia
1 Tour de France (nello stesso anno)
1 bronzo ai mondiali del 1995

Escluso dal giro nel 1999 per i valori alti dell'ematocrito (al di sopra del consentito). Caduto per questo in depressione, morì in una stanza d'albergo per arresto cardiaco dovuto a presunte sostanza stupefacenti. Dopo 10 anni, nel 2014, la procura di Rimini ha riaperto il caso, archiviato a suo tempo come suicidio, ipotizzando l'omicidio volontario, come da sempre sostiene la famiglia.

La brutta storia del Pirata comincia ufficialmente nel 2001 quando partecipò al Giro ma si ritirò prima della 19esima tappa e al Tour de France la sua squadra non venne nemmeno invitata.
Da questo momento in poi, e dopo che la fondatezza dell'accusa di uso di sostanze dopanti cadde perché il fatto non sussisteva, sprofondò in una profonda depressione mentre l'immagine del corridore che tutti avevano si allontanava sempre più dalla sua persona.
Madonna di Campiglio, l'inizio della fine
Questa stessa brutta storia si concluse il 14 Febbraio 2004 quando Marco Pantani fu trovato morto nella stanza D5 del residence 'Le Rose' di Rimini. Quando una persona muore la prima cosa che avvertiamo forte è il dolore, e su questo siamo tutti d'accordo. Ma la seconda cosa è sicuramente il senso di giustizia e la necessità di capire cosa sia successo negli attimi prima che quel corpo cessasse di vivere e mentre noi non c'eravamo. Così è per tutti. Tutti pensiamo che, prima o poi, il morto parli e ci dica chi e cosa è stato. Anche la famiglia di Pantani ha provato e pensato le stesse cose, peccato però che la Procura di Rimini abbia prima deciso che si sia trattato di un suicidio post overdose da cocaina e altre sostanze e poi rimesso in gioco tutto per dare spazio e voce alle persone, a lui più care, riaprendo il caso con l'ipotesi di omicidio volontario rimettendo in gioco anche due personaggi da tempi additati come gli spacciatori. Ora cerco di spiegare quello che sappiamo di queste inchieste giudiziarie.
La signora Tonina, madre di Marco, ma così come tutta la famiglia, afferma che il modo che il corridore abbia scelto per suicidarsi è improbabile perché è in effetti improbabile che una persona per ucciderci ingerisca l'equivalente di 6 dosi di cocaina pura la 97%, soprattutto se pensiamo che il medico legale sospetta che fosse morto addirittura prima di ingerirla.
 La mamma Tonina non ha mai smesso di chiudere giustizia
Tonina sostiene anche di non riconoscere le firme che il figlio avrebbe usato per prelevare il denaro necessario a comprare quella stesa droga e che è alquanto strano che in quella stanza, per uno che ne faceva abitualmente uso come sostengono i magistrati, non ve ne era traccia.
Oltre a questi elementi, risulta strano anche il fatto che la stanza sembrava messa in disordine (ordinato) come in un film americano di rapine, un uomo da solo e in preda ad un overdose è difficile pensare che abbia quella forza in quei momenti, e che ci fossero lividi sul corpo e cibo cinese che Pantani non mangiava mai. Ora, dopo 11 anni quasi, essere ancora così vivo nel ricordo di tutti, sportivi e non, è sicuramente una grande riconoscenza ma pensare di lasciare il tutto impunito è sbagliato. Marco Pantani era uno che voleva vivere fino in fondo e che sicuramente non amava i compromessi o le mezza misure, fastidioso per molti nel mondo del ciclismo, si arrivò al punto in cui ben 7 procure indagavano su di lui, ma la sua gente sa che quel maledetto giorno a Madonna di Campiglio è stata una congettura, un affronto ad un uomo che purtroppo non si è più' rialzato, nemmeno dopo il retro front del C.O.N.I..
Ha chiuso la partita Marco, chiudendosi a riccio nella sua solitudine, ma noi siamo qui a cercare verità, la sua.


Tiziana Tavilla

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