venerdì 27 marzo 2015

L’ATLETICO PKH C’E’, B&F KO IN GARA1

ATLETICO PKH            70
BASKET&FRIENDS      54

ATLETICO PKH: Pezzella, Russo 29, Chianese, Stellato 2, Mazzariello, Iodice 15, Laudisio 18, Di Silvestro, Ranieri, Visone 2, Baccaro 4. All. Anzoini.
BASKET&FRIENDS: Vigliotta 2, Riello 4, De Angelis, Caserta 2, A.Buonocore, Della Rocca 11, Bernardo 6, Parretta, Ragozzino, Crupi 20, Corsiero 9. All. Anzivino.
ARBITRI: De Lillo e Ausiello.
PARZIALI: 19-13, 29-28, 54-39.

E’ la sfida con più storia di questi playoff e non ha tradito le attese dei molti presenti al Pala Don Bosco: gara1 dei quarti va all’Atletico PKH (targato GoldwebTv, Caserta Drink Øl, GoldBetCafè, Centro Genesis, T&T Impianti e Copynet) che batte un mai domo Basket&Friends che, però, è visibilmente calato alla distanza. Al suono della sirena il tabellone dice +16, scarto forse eccessivo ma che, comunque, testimonia la bontà del gioco espresso dai rossoblù nel secondo tempo. E pensare che l’avvio è stato tutto di marca ospite, così come il secondo quarto: tutti si aspettavano un secondo tempo con maggiore equilibrio ma, in quel frangente, l’Atletico PKH ha spaccato la partita dando sprazzi del suo vecchio amato gioco fatto di contropiedi, bombe e difesa dura. Si replica mercoledì prossimo al Pala Saint Gobain ed il Basket&Friends sarà spalle al muro e condannato a vincere per prolungare la serie alla bella: il PKH ammirato in gara1, però, ha le qualità giuste per sbancare anche il legno avversario.

LA CRONACA. Neanche il tempo di iniziare che l’Atletico torna, con la mente, al drammatico avvio di Piedimonte: lì si cominciò 0-18, stavolta è uno 0-8 in 2’ firmato dalle triple di Della Rocca e Crupi. L’immediato timeout sveglia i rossoblù che cominciano a difendere duro ed attaccare con intelligenza e raziocinio. Russo inizia a scaldare la mano, Laudisio, Iodice e Visone fanno il resto per un controparziale di 15-0 che gira la partita. Ancora Russo firma il 19-9 prima dei liberi di Della Rocca. Il secondo quarto è un susseguirsi di errori offensivi dei rossoblu che segnano poco e quasi esclusivamente con Russo (6 punti); dall’altro lato c’è un Michele Bernardo caldissimo (6 punti) a ridare fiato alle speranze del Basket&Friends. Dopo un tecnico per proteste a Ranieri e la bomba dell’eterno Crupi suona la sirena di metà gara ed è +1 PKH. Chi si aspetta un secondo tempo equilibrato viene smentito: Laudisio si scatena in contropiede (7 punti filati), il ritmo altissimo dei locali manda in tilt il Basket&Friends che viene investito da un break di 11-0 dopo il missile di Iodice che regala il +14. Gli ospiti sono alle corde, segna solamente Corsiero (7 punti nel terzo quarto) ma rientrano in scia nel quarto periodo nonostante il buzzerbeater di Stellato sulla sirena del terzo periodo. Un altro tecnico, stavolta a Mazzariello, apre la strada e poi Crupi ci mette la solita classe: ecco il 56-47 al 34’. Partita riaperta? Neanche per sogno, Russo segna anche dal parcheggio del Pala Don Bosco, Laudisio, Iodice (stoicamente in campo nonostante un forte virus influenzale) e Baccaro fanno scorrere i titoli di coda fino al +16 finale.

domenica 22 marzo 2015

BENVENUTI NEL MANICOMIO PARMA

Giampiero Manetti è stato arrestato in settimana
Il pezzo della settimana è una cronostoria al contrario sul Parma F.C.
Tutti sappiamo che in questi giorni la società ha chiuso i battenti ma pochi sanno cosa, in termini spicci e sintetici, sia realmente successo quindi ho deciso di illuminarci, me compresa, partendo da Giampietro Manenti.
Giampietro Manenti, Bollate 1969, negli ultimi anni ha fondato diverse società, più di una in Slovenia, con capitali sociali di 7,500 euro scarsi.
Il 6 Febbraio 2015 rileva il Parma F.C. dall’albanese Rezart Taci pagandolo 1 euro.
Il 18 Febbraio viene arrestato con l’accusa di rimpiego di capitali illeciti e con questo vengono a galla i suoi precedenti penali tra cui lesioni, possesso illegale di armi, bancarotta, tentata estorsione e violazione degli obblighi di assistenza familiare. Manenti aveva un bel progettino: risolvere le sorti della società con l’aiuto di 4,5 milioni di euro incassati dall’utilizzo di carte di credito clonate, ma la Guardia di Finanza è arrivata prima.
Prima di lui un albanese, come vi ho detto, si è affacciato nella vicenda.
Rezart Taci, Erseke 1971, è un petroliere albanese presidente anche della Federazione Albanese Scacchi. La sua storia nel calcio italiano comincia con la partnership come sponsor nel 2011 con il Milan e il suo ingresso nel disastro Parma avviene dopo una silenziosa trattativa, ma fa in tempo a scappare dopo essersi presto reso conto della situazione tanto che bastano 20 giorni per fuggire.
La suddetta silente trattativa fu con Fabio Giordano, presidente della squadra a cavallo tra il 2014 e il 2015. Se qualcuno poi si era illuso che la salvezza potesse arrivare con lui, si sbagliava di grosso. Fabio Giordano, prima di arrivare a Parma, era già stato amministratore unico o semplice consigliere di molte società che dopo poco dal suo arrivo furono messe in liquidazione o cancellate. Quindi un fallimento annunciato fu quello che seguì a Pietro Doca, presidente prima di lui.
Amauri e l'ex patron Ghirardi nel giorno
dell'accesso all'Europa League
Di Doca poche sono le notizie che trapelarono. Fu messo alla guida della società per pochi mesi e solo per ‘traghettarla’ alla ricerca di un risanatore che però non è mai arrivato. Pietro Doca seguì Tommaso Ghirardi, presidente dal 2007 al 2014.
Molti danno a lui la colpa massima della fine del Parma F.C. e la città si divide tra chi da lui si sente tradito e chi invece attribuisce le colpe alla Federazione.
Ghirardi entra nel calcio nel 1998 quando acquista il Carpendolo, squadra di Brescia, che milita allora in Terza Categoria, con cui arrivò quasi in serie C1 nel campionato 2005\2006. Fu proprio in quell’anno che fa il grande salto e rileva il Parma in compartecipazione con Angelo Medeghini e Banca Monte Parma. C’è da dire che quando Ghirardi fa tale operazione la società era già in perdita e diretta da un commissario straordinario da tempo.
Dopo il cambio, la squadra non si riprende in classifica nonostante esoneri e modifiche, così nel suo primo mercato si continuò ad andare in passivo, investendo circa 11 milioni di euro che non evitarono la retrocessione in serie B.
L’esperienza in B durò un solo anno e si tornò in seria A con Guidolin, tecnico a cui si deve il merito della promozione.
Le prime dimissioni di Tommaso Ghirardi, invece, risalgono al Maggio del 2014, dopo la mancata concessione della licenza UEFA da parte del CONI causata da un ritardo nei pagamenti IRPEF. Ma le stesse dimissioni furono presto ritirate fino al Dicembre 2014 quando annuncia la vendita a favore di una società di Cipro di cui a stento si conosce il nome.
La storia calcistica di Ghirardi si ferma quindi qui ma tre mesi dopo, nel Marzo di quest’anno, viene iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Parma per bancarotta fraudolenta e comportamento illecito alla base del grave dissesto finanziario della società e viene inibito per 4 mesi.
Donadoni e Cassano, due protagonisti degli ultimi trionfi
Il 19 Marzo 2015 il Parma F.C. viene dichiarato fallito.
Ora, come tutto questo sia possibile in uno sport in cui i milioni girano è difficile da capire ma è altrettanto incomprensibile capire come la Federazione sia così poco vigile da permettere a una squadra di continuare ad esistere dopo anni di perdite finanziarie e senza avere alcuna garanzia sull’assetto societario.
Dare le colpe è complicato ma il calcio è un business in perdita da anni e se fosse un’azienda come tutte le altre avrebbe già chiuso.

Vi do’ qualche numero, relativo al campionato scorso.
Cagliari: -1,8 milioni di euro
Cesena: -2,4 milioni di euro
Bologna: -4,2 milioni di euro
Fiorentina: -12,8 milioni di euro
Sampdoria: -9,6 milioni di euro
Genoa: -17 milioni di euro
Roma: -30,8 milioni di euro
Milan: 69,8 milioni di euro
Inter: 86,8 milioni di euro
Juventus: 95,4 milioni di euro
I conti spaventano noi comuni mortali e la domanda che segue è: Allora quale sarà la prossima squadra a fallire?
La risposta non è quella che si crede. Oltre questi numeri catastrofici c’è molto perché alle società di calcio viene applicato il ‘consolidamento fiscale’ che sarebbe un meccanismo di tassazione che consente di far emergere un’ unica pretesa tributaria a fronte di una moltitudine di passivi. A parole povere, al presidente di una società di calcio non importa molto della perdita visto che questa è totalmente detraibile fiscalmente. E in compenso la squadra gli permette di avere una grande visibilità, spendibile in qualsiasi momento, specie se poi il fine è entrare in politica, come spesso accade.
Ora la domanda che invece vi pongo io è questa: ‘Ma il calcio non era correre dietro ad un pallone in 11?’
A quanto pare no. 


Tiziana Tavilla

lunedì 16 marzo 2015

IL DERBY DEI SECCHIONI

Una fase del derby tra Harvard e Yale
Forse è vero, come diceva Rocky Balboa che nella vita è importante rialzarsi ed essere sempre in grado di rispondere ai colpi subiti, forse era altrettanto vero, come diceva Benjamin Franklin, che sono i piccoli gesti quotidiani a dare il senso alle nuove scoperte, ma alla fine, qualcun altro oserebbe dire, è il risultato che conta. Niente di più sbagliato, perchè quella tra Yale e Harvard è stata qualcosa di più di una partita di pallacanestro, è stato un modo diverso di vivere il campus per studenti che di certo non han scelto questa università per ragioni legate allo sport. Alla fine ci vanno i Crimson al torneo, per il quinto anno di fila e il sesto nella loro storia, peccato per i Bulldogs, che dopo aver sciupato il matchpoint e malamente, hanno però dimostrato di avere qualcosa in più della passione e del love of the game.

ANTE:
Yale aveva dato 10 punti ad Harvard e aveva la possibilità di andare al Torneo NCAA (dopo l'unica volta del 1962) battendo Darthmouth, che aveva poco da chiedere al campionato. Siccome però a queste latitudini e specie in questi campus uno degli sport favoriti è il Canottaggio, Darthmout vende cara la pelle e a 52" è a -3, con palla in mano ai bulldogs. Pressione, freccia maledetta, tripla dei verdi e pareggio. Javier Durren, ragazzo di St.Louis con testa matematica da puro economista e impegnato nella campagna SOBER contro l'alcolismo (altro che festini nelle confraternite!!!) viene sfidato in lunetta, ma forse avrebbe preferito qualche lezione di psicologia col suo amico Armani Cotton. Dalla linea la mano trema, 1/2 e palla ai verdi che provano un improbabile baseball pass full court, che starebbe finendo fuori, finchè un braccio malandrino non tocca e regala la rimessa ancora alla squadra che non ha niente da chiedere. Rimessa con un 1" e un Lituano, tale Gabas Moldunas, con un perfetto alto basso costruito appoggia al vetro. Si va allo spareggio.

La festa dei Crimson
IDENTIKIT: Si gioca la "finalissima" (visto che nel torneo Ivy League non c'è il torneo a eliminazione diretta come nelle altre conference) in campo neutro, e signori che palcoscenico: il The Palestra of Philadelphia, the cathedral of College Basketball. Magari le cheerleaders non saranno quelle solite ragazze copertina, molte di esse hanno quel non so che di intellettuale e soprattutto le gonne non diciamo che sono fino al ginocchio ma quasi. Con le bande andiamo decisamente meglio, abbiamo degli ottoni tirati a lucido che brillano anche nei frame non certo in hd della trasmissione, le uniformi sono qualcosa di magico e ancestrale e questo fa capire forse perchè stiamo parlando delle eccellenze. I tifosi hanno tutte le stesse facce, un po' Steve Jobs, un po' Mark Zuckerberg, un po' nerd all'avanguardia di The Big Bang Theory, un po' snob dell'area del'Upper East Side di Gossip Girl, quelli dei Crimson han le loro magliette e felpe in amaranto e nero con la scritta "Beat YALE" e tanti plastificati con i volti giganti dei loro beniamini, mentre i blu hanno merchandise più semplice e meno preparato per l'evento, ma hanno un paio di mascotte gigante col bulldog che mette tanta allegria. OK si alza la contesa e subito si vede che il livello non è quello di Notre Dame - North Carolina o di Kansas - Iowa State, ma si vede che questo basket vuole essere geometrico e cerebrale. E non potrebbe essere altrimenti: dei giocatori a rotazione, almeno quelli che più incideranno sulla gara, abbiamo per Yale un economista, uno psicologo, un biologo molecolare, uno studioso di storia e cultura Americana, e due specializzandi in educazione fisica, di cui uno di sicuro sarà il prossimo coach della squadra (fidatevi si vede e ci passiamo dopo); per Harvard due sociologi, che evidentemente in classe sono abituati a passarsi altro oltre la palla, un economista, uno studioso di "Government" ma soprattutto un ragazzo nato a Yaoundè, Cameroon, con passaporto greco, che studia Analisi Matematica Applicata, e nel tempo libero ha imparato a giocare a basket ma ancor di più a dare stoppate colossali agli avversari.

La delusione dei Bulldogs
CSI: Si vede che i due coach vogliono vincerla in difesa, con Harvard che si mette a fare i suoi raddoppi a scatole cinesi mentre Yale lascia sfogare l'avversario, che vola sull'8-0 e poi grazie alle sue letture offensive inizia a tessere la sua tela. Il protagonista diventa dal nulla un ragazzo uscito dalla panchina, con sguardo tipicamente all'inglese da bravo ragazzo, un po' Andy Murray un po' Hugh Grant, uno che in estate vendeva cappellini e gadget vari a Fenway Park e che nel tempo libero allieta i suoi compagni col programma radiofonico più seguito a Yale, dove da buon DJ spara musica a palla. E' Greg Kelley, che si prende la squadra sulle sue spalle e con due triple la rimette in carreggiata. Il resto lo fa Justin Sears, ragazzo dalle braccia lunghe e dal grande talento, quello che nella vita voleva mettere Plainfield, la sua città natale, sulla mappa della pallacanestro americana e, quantomeno a livello di high school, ha già centrato l'obiettivo. Harvard resiste, e la salva il ragazzo camerunense di cui abbiamo parlato poco fa, ovvero Moundou-Missi.  Montague è uno spettacolo da vedere. Probabilmente non ha neanche la metà del talento di quelli che stanno in divisa sul campo, ma è un generale come pochi, spiega l'angolo di incidenza dei blocchi, va a strigliare i compagni e ha sempre l'idea giusta per sbloccare: leggi il suo pedigree e vedi che fa in estate il coach della Varsity, che siede spesso tra coach Jones e il suo assistente, mi sa che questo è il suo erede. La ripresa però, dopo il -4 della pausa lunga è un'autentica galoppata Crimson. Sounders, uno dei due sociologi, che l'anno scorso era stato mvp della Ivy League e che nel tempo libero si esercita e con buoni profitti, negli scacchi e nella costruzione di un guardaroba che sia "adeguato", si mette in proprio e spacca la partita con tre triple. Yale è colpita e cade, in tutti i sensi. Inspiegabile come l'arbitro non veda un colpo proibito di Travis sulla faccia di Mason, che va in panca per farsi curare, si prende la carica del solito Montague e poi torna in campo, con un edema visibile anche questo non certo grazie all'hd. Sembra fatta, perchè Chambers, si c'è anche lui, va col 48-40 a poco dalla fine, ma Yale non demorde. Duren, che era sparito sotto le foglie, guarda i numeri sul tabellone e vede che il bonus è speso, testa bassa e penetrare, liberi, tanti per lui. Perfetto. Mason, che fino ad allora aveva fotto pochino in attacco si inventa un incredibile spin move nel traffico ed è sorpasso, sembra incredibile, ma qui inizia qualcosa che vale poco la pena di commentare. Fallo su uno di quei movimenti strani di terzo tempo, Sounders, caldo come una stufa, lancia in area la palla che centra l'anello. Gli arbitri la guardano e danno la continuità. Ma si può andare a controllare il discrimine di un fallo, e qui non parliamo di flagrant/non flagrant? Comunque controsorpasso Harvard, Sears pareggia e con 50 " palla in mano all'università in nero-amaranto. Palla buttata, fumble, groviglio di mani, si va di nuovo all'istant replay, poco chiara la situazione, ma la palla resta ai Crimson. Piazzato del solito camerunense, che poco aveva fatto nella ripresa e con 5 " non si chiama timeout (ma come un'università del genere non chiama timeout???) e Duren si butta dentro, magari per un fallo, alzando una preghiera, c'è anche una specie di tap in offensivo, ma stavolta non va. Harvard al torneo, riprendendo il paragone del canottaggio, con la punta della sua barca che di pochissimo batte l'altra, ma il paragone forse più vero ce lo regala una delle statue più famose di Philadelphia, quella di Rocky Balboa. "Non ci saranno rivincite Apollo!!!" e poi alla fine dopo la sconfitta del primo film sappiamo come è andata. Mi sa che forse è il tempo di spegnere il pc e mettersi a studiare un po' sta partita mi ha messo voglia di riaprire i libri... Si certo, come no, alla prossima puntata...


Domenico Landolfo

domenica 15 marzo 2015

SPETTACOLO ALL GREENS, ATLETICO TRAVOLTO

Una fase della sfida al Pala Matese
ALL GREENS PIEDIMONTE MATESE          65
ATLETICO PKH                                           45

ALL GREENS PIEDIMONTE MATESE: Conte 15, Bucci 17, Bisceglia, Tazza 2, Del Basso 14, Festa 2, Nardi 13, Mezzullo, Venditti, Cusano 2. All. Pacifico.
ATLETICO PKH CASERTA: Pezzella, Stellato 6, Argenziano 9, Testa, Laudisio 3, Romitelli, Mazzariello 22, Ranieri, Visone 2, Baccaro 3. All. Anzoini.
ARBITRI: Ausiello e Pastore.
PARZIALI: 27-4, 40-20, 50-41

Anche il girone B ha emesso il suo verdetto: il primato va agli All Greens Piedimonte Matese che vincono nettamente il confronto diretto, giocato al Pala Matese, contro l’Atletico PKH (targato GoldwebTv, Caserta Drink Øl, GoldBetCafè, Centro Genesis, T&T Impianti e Copynet). Le numerose assenze che hanno limato il roster dei casertani non devono assolutamente suonare come una giustificazione o sminuire lo strameritato successo dei matesini (anche loro privi di Forray e Di Lello). Non c’è stata, quasi mai, partita: una partenza bruciante dei matesini ha spaccato in due il confronto. L’Atletico, dopo aver rischiato una sonora imbarcata, ha avuto il merito di rientrare fino al -9 grazie alla magnifica prestazione di Mazzariello nel tiro pesante (6 triple a referto) ma nel momento decisivo gli All Greens si sono ricompattati mentre i rossoblù hanno sbagliato tutto e si sono innervositi lasciando, di fatto, la partita con 5’ d’anticipo. Risultato, comunque, giusto e che premia il gruppo di coach Pacifico che, ora, se la vedrà con Puccianiello nei quarti dei playoff. L’Atletico PKH, invece, incrocerà il suo destino col Basket&Friends in una delle sfide storiche di questo campionato.

LA CRONACA. Freddo e vento fuori il Pala Matese, calore e passione all’interno grazie allo spettacolare pubblico di casa accorso in ottimo numero al palazzetto. E con questo palazzetto al proprio fianco, gli All Greens volano: neanche il tempo di alzare il pallone che l’Atletico viene investito dallo tsunami biancoverde. Del Basso e Conte dominano in vernice contro i malcapitati Visone e Ranieri, Bucci insacca una bomba (10 punti nel quarto), il giovane Nardi è scatenato e dopo 7’ è già 18-0. Solo Mazzariello riesce a vedere il canestro mentre non si arresta la furia matesina: contropiedi, dominio a rimbalzo, difesa forte ed ecco il 27-4 al primo stop. La partita sembra finita prima ancora di iniziare ed anche nel secondo quarto la musica non cambia. Solo Stellato riesce a dare una mano a Mazzariello che è caldo come una stufa: due bombe della guardia riducono il gap fino al -16 ma Festa, Nardi e Bucci riscrivono il +20 alla pausa lunga. Il terzo quarto dell’Atletico è da urlo e nessuno poteva immaginarlo: la difesa sale di colpi ma è l’attacco a svegliarsi. Mazzariello vede una vasca da bagno al posto del canestro e spara tre missili in rapida successione che permettono il -14. Piedimonte inizia a sentire la pressione e smette di giocare: altra tripla di Mazzariello, bomba di Argenziano e la partita torna viva sul 50-41. Qui, però, l’Atletico sbaglia tre occasioni d’oro per tornare più a contatto, gli All Greens tornano a dare palla sotto e riallungano pur segnando solamente dalla lunetta. La partita si chiude al 35’ quando l’Atletico si carica di falli: Ranieri, alla seconda stoppata regolare sanzionata col fallo, manda platealmente a quel paese gli arbitri e si prende un tecnico. Il nervosismo dei casertani sale e, saggiamente, tutto il quintetto viene richiamato in panchina per evitare sanzioni più pesanti. E’ un lungo garbage time che porta fino al +20 finale per i matesini meritatamente vincitori del girone.

giovedì 12 marzo 2015

LA VITTORIA DEGLI ULTIMI

L'ingresso in campo di Sri Lanka e Bhutan
(foto 
James Montague)
Si sono aperte stamattina, nell’indifferenza totale del calcio dei ricchi, le Qualificazioni ai Mondiali di Russia 2018. Si sono aperte nella confederazione asiatica che deve fare un po’ di ‘pulizia calcistica’ prima di mandare in campo le proprie regine. Lontano dai riflettori del mondo, lontano dai Ronaldo, Messi e Mourinho, delle piccole grandi nazioni stanno vivendo, con due anni e mezzo d’anticipo, il loro Mondiale. Tutti ben consapevoli che la corsa finirà presto, al primo turno o al massimo al secondo, questi piccoli rappresentanti dello sport più seguito al mondo stanno giocando con orgoglio e dignità. Il solo fatto di rappresentare la loro nazione è il premio più bello e grande. Il primo gol della storia di Russia 2018 porta la firma del difensore di Timor Est, Nazario Do Carmo, 22 anni. Nessuno si ricorderà di lui tra due anni e mezzo, noi sì (o almeno speriamo). La sua nazionale ha travolto 4-1 la Mongolia ed il ritorno nel gelo di Ulan Bator (che è anche il nome di un gruppo musicale francese, tra l’altro) dovrebbe essere una formalità ma non si sa mai. 
Il tabellone dello stadio di Colombo
(
foto James Montague)
La vittoria che, invece, fa veramente notizia è quella compiuta dall’ultima nazionale del ranking Fifa. Sì, la nazionale più scarsa del mondo calcistico secondo questa speciale classifica aggiornata dall'organismo che regna il futbol del pianeta. Peccato che, però, sia semplicemente una nazionale giovane che, oggi, ha giocato la prima partita ufficiale in una qualificazione mondiale. Nella calura di Colombo, Sri Lanka, il Bhutan vince 1-0 con gol di Tshering Dorji, illustre sconosciuto ma futuro idolo di un intero paese. Lì lo sport nazionale è il tiro con l’arco, ma questa piccola nazione tibetana ha scritto la prima grande storia di questo mondiale che partirà tra due anni e passa. James Montague, giornalista per New York Times e World Soccer, commentatore per Bbc World, era al loro fianco, come se sentisse di poter vivere una giornata storica, a suo modo. Che invidia. Il Bhutan entra nella mappa del calcio mondiale, la corsa verso Russia 2018 è iniziata. Noi racconteremo solo queste storie di un calcio romantico. Le prodezze di Messi, Ronaldo, Ibra e soci le lasciamo volentieri agli altri. Noi amiamo solamente questi piccoli, grandi, eori del calcio mondiale.



Camillo Anzoini




martedì 10 marzo 2015

AMERICAN SNIPER E LA ‘LEGGENDA’ DEL CECCHINO OLIMPICO

Bradley Cooper nel ruolo dell'American Sniper 
Patriottismo e sport. Un confine sottilissimo negli Stati Uniti. Il senso di appartenenza dello sport, degli sportivi e dei fans alle stelle e le strisce della bandiera statunitense è un qualcosa di raro da ritrovare allo stesso grado circumnavigando il globo terracqueo (probabilmente solo in alcuni posti dell’est asiatico il senso del binomio è sullo stesso scalino). Tutto questo da sempre, ma ancora di più dall’11 settembre. Una data che elevato quel proprio senso di ‘proudness’ già spiccato di suo. Da quel giorno in poi urlare ‘USA, USA’ ha avuto un altro valore. Ma i fatti di New York, delle torri gemelle e delle vittime dello schianto aereo (da qualsiasi parte, da qualsiasi teoria complottista  o meno la si guardi), ha dato un’accezione diversa anche ad un altro senso di appartenenza altrettanto elevato di suo rispetto a quello sportivo: quello militare. Ma cosa accadrebbe se le cose venissero mescolate assieme? Basterebbe chiedere a Clint Eastwood. Già proprio lui che negli anni d’oro e prima di mettersi dietro una cinepresa a dirigere lavori sul grande schermo, ha incarnato per anni l’emblema della vecchia America: il western. Ad onor del vero non vogliamo certo essere tacciati per i classici ‘scopritori dell’acqua calda’. La domanda dell’oggetto in questione di questo post è stata rivolta dall’uscita del film, ‘American Sniper’, milioni e milioni di volte. La risposta? Celata dietro una leggenda.

Sammy Sheik interpreta il cecchino siriano Mustafà
IL SIRIANO MUSTAFA’ – Ed allora arriviamo al punto in questione. Arriviamo all’esaltazione del patriottismo di cui si parlava in precedenza: orgoglio americano, sport e militarismo. Arriviamo al punto del film, che dalla sua messa in onda per la prima volta sul grande schermo il 16 gennaio 2015 (ma che in tutta onestà ho avuto modo di vedere solo da poco) ha suscitato spasmodicamente l’interesse ‘popolare’ – ci limiteremo a questo punto di vista considerando che quello di sfondo politico sulla moralità fascista, guerrafondaia o repubblicana di Eastwood non è proprio argomento di questo blog -. Le leggendarie prodezze Dell’American Sniper Chris Kyle, infatti, hanno un contraltare nel nemico Mustafà, un tiratore scelto siriano che ha partecipato anche alle Olimpiadi e che è giunto in Iraq con l'obiettivo di lottare al fianco dei ribelli e che in una delle scene finali del film viene appunto ucciso dallo stesso Chris Kyle. Sempre nella caccia a distanza cinematografica, si nota proprio una foto di un podio olimpico a comprovare all’interno della trama del film che le notizie su Mustafà e che popolavano le strade irachene avevano una certa sostanza. Vero? Falso? Una licenza poetica di Eastwood? Un senso romantico per aumentare il senso patriottico del film? tante le domande, tanti i siti di critica cinematografica che sono stati interrogati al riguardo, tanti quelli generali che sulla cresta dell’onda hanno trattato l’argomento. L’unico punto sul quale non ci si trova in disaccordo è l’esistenza stessa del cecchino e della rivalità a distanza. Noi vogliamo citarne tre: The Telegraph, Quora e la sezione ‘WorldWires’ della versione in rete del The Washington Post. Ma andiamo con ordine.
Telegraph«Sembra che Mustafà non fosse mai stato un atleta olimpico o comunque nella peggiore delle ipotesi non di nazionalità siriana, visto che solo uno dei pochi tiratori olimpici della Siria degli ultimi 30 anni è stato in gara con bersaglio a distanza con fucile ed era troppo vecchio per combattere (di seguito il link di wikipedia per i medagliati olimpici della Siria: http://en.wikipedia.org/wiki/Syria_at_the_Olympics). Senza contare che lo sceneggiatore, Jason Hall, ammesso di Time Magazine che il collegamento è stato fatto per effetto drammatico».
Il Quora«Nel libro, c'è un cecchino nemico, ma non era alle Olimpiadi, cosi come la Siria non ha mai avuto medagliati tra i tiratori. Inoltre cosi come è stato riportato da altri, lo stesso Kyle nel libro ha detto che Mustafà sarebbe stato ucciso da altri».
 Il Washington Post«Mentre il film ritrae Mustafà come un potente rivale di Kyle, nel libro autobiografico su cui si basa il film, Mustafà guadagna un solo punto: “Dalle relazioni che abbiamo ascoltato, Mustafa era un tiratore Olimpiadi che stava usando le sue abilità contro gli americani “, ha scritto Kyle. “ Molti video sono stati realizzati e pubblicati per celebrare le sue abilità. Non l'ho mai visto, ma pare che altri poi abbiano ucciso un cecchino iracheno che pensiamo possa essere lui". Non è chiaro chi era Mustafà o se mai esistito, ma c'erano leggende simili di cecchini ribelli iracheni. Probabilmente il più famoso è stato quello di "Juba", un cecchino con il gruppo di ribelli dell'Esercito Islamico in Iraq, le cui gesta sono state propagandate in diversi video pubblicati tra il 2005 e il 2007. Tra le altre cose a lui attribuite, anche centinaia, di uccisioni».
Quindi? Beh stando al Washington post che riporta proprio le parole del libro di Kyle, la leggenda tra la polvere, detriti, bombe, spari e case semi distrutte, parla proprio di atleta olimpico. Non è cosi? A cosa si deve credere? Dipende dal tipo e dal grado di romanticismo che volete dare alla storia.

La copertina del libro
IL LIBRO E LA PELLICOLA – Una trasposizione sul grande schermo di quello che è stata definita come l’autobiografia di uno dei più letali cecchini della storia militare americana. Una trasposizione basata sul racconto della vita di Chris Kyle - l’America Sniper – sulla sua precisione nello sparare da lunghe distanze, sulle sue quattro tornate nella guerra in Iraq, sul racconto di come dopo l’11 settembre la guerra abbia avuto un valore particolare anche sui territori in questione. Ma soprattutto sul racconto di un uomo divenuto ‘leggenda’ per il numero di uccisioni fatte registrare nei suoi periodi di permanenza in territorio iracheno (160 quelli resi noti come certi da parte del Pentagono, 255 il conto ufficioso), la caccia al suo alterego Mustafà ed il suo ritorno traumatico a casa mettendo in luce come la guerra possa cambiare la psiche e la mente di chi vi prende parte. Non a caso lo stesso Chris Kyle nella vita reale è stato ‘vittima’ di una mente offuscata da precedenti militari e poi da alcool e droghe. Un veterano di guerra, Eddie Ray Routh, che come altri voleva aiutare. Un veterano che nel 2013 in un poligono del Texas - Rough Creek Ranch-Lodge-Resort - mette fine alla leggenda sparando ed uccidendo lo stesso Kyle e l’amico Chad Littlefield.


Il vero volto di Chris Kyle 
CHRIS KYLE – Doverosa questa ultima parte per completezza di informazione. L’assassino di Chris Kyle è stato dichiarato colpevole il 25 febbraio scorso a seguito di verdetto unanime della giuria che ha respinto le richieste della difesa riguardanti l’aver agito senza la normale capacità di intendere e di volere minata proprio dalla guerra. L’accusa, inoltre, nell’occasione decise di non chiedere gli estremi per la pena di morte. La pena finale è stata l’ergastolo.  







Domenico Pezzella



Il trailer del film:



lunedì 9 marzo 2015

IL RITORNO DI ZEMANLANDIA

Una volta tanto decidiamo di essere sul pezzo, sulla notizia. Ok lo sapranno già in tanti ma ci tocca fare due righe: il Cagliari ha esonerato Gianfranco Zola ed ha richiamato Zdenek Zeman per cercare la disperata ricerca della salvezza. Dispiace per Zola, il Magic Box che tanto mi e ci ha fatto esaltare in campo, ma non possiamo che essere contenti per il ritorno del Boemo. Inutile fare la carrellata dei pro e dei contro, ognuno ha la sua idea, ma dovevamo celebrare questo ritorno. Noi di ‘Oltre l’ultimo secondo’ siamo con lui perché siamo ancora legati ad un calcio romantico. E cosa c’è di più romantico di Zeman? Niente ed, allora, è gioia infinita. Zeman o lo sia ama alla follia (come me) o lo si odia e critica. Non so se riuscirà a salvare il Cagliari ma, sicuramente, adesso gli isolani avranno tanti tifosi in più. Ed è sempre Zemanlandia, a prescindere dai risultati.


Camillo Anzoini

domenica 8 marzo 2015

LE CINQUE DONNE DELLO SPORT MONDIALE

1. Alice Milliat
Il francese Pierre de Coubertin è stato il fondatore dei moderni Giochi Olimpici e voleva che le donne al massimo, portassero la corona di fiori ai vincitori perché le vedeva come "una creatura malata e dodici volte impura", testuali parole, e poi qualcuno mi spiegherà perché proprio 12 erano le volte, bah. Venne poi il 1921 e Alice Milliat fondò la Federazione Sportiva Femminile Internazionale, opponendosi proprio a questo ruolo che si dava alle donne. Il suo grande merito fu quindi quello di aver gettato con coraggio le basi per la nascita e la crescita dello sport agonistico femminile. Nel 1922 e nel 1926 furono organizzati a Parigi e a Göteborg i giochi mondiali femminili e, dato il successo che ebbero, il C.I.O. fu costretto ad ammettere le 'atletesse', questo fu il nome dispregiativo con la quale le definirono, alle olimpiadi di Amsterdam del 1928. Il sopracitato De Coubertin non smise mai però di dichiarare che "un'olimpiade femminile non sarebbe pratica, interessante, estetica e corretta" e anche dopo che la rappresentanza femminile ai vari giochi e discipline si allargava sempre di più, lui continuò a ribadire che "le donne erano state ammesse ad un numero sempre crescente di prove contro la sua volontà". Ora capite l'importanza di una pioniera come Alice Milliat a cui va quindi il merito di tutto quello che c'è dopo di lei in questa classifica ma non solo.


2. Wojdan Shaherkani
Wojadan Ali Seraj Abdulrahim Shaherkani è importante quando Alice, per questo è al numero due della mia classifica.  Wojadan è una judoka nata nel 1996 a La Mecca. Ha solo 19 anni ma ha già ampiamente dimostrato di essere una donna forte e combattiva. Shaherkani ha cominciato a praticare il judo, in Arabia Saudita, perché il padre era arbitro. La sua rivoluzione è cominciata però con la sua prima competizione ufficiale in occasione dei Giochi Olimpici di Londra 2012, dopo che il comitato olimpico internazionale ha pressato quello arabo a farla gareggiare nella categoria +78kg. Lo scontro fu duro. Alla fine, dopo lunghe trattative e restrizioni spietate sul comportamento che avrebbe dovuto assumere, l'abbigliamento che doveva categoricamente sottostare alla legge islamica e l'obbligo di non frequentare uomini, la sua partecipazione fu concessa. Shaherkani sul tappeto durò solo 82 secondi. Perse ma dopo la gara ha affermato che, anche se l'emozione e la questione del hijab  (il velo) le avesse tolto molta concentrazione, era molto felice di essere alle olimpiadi e che anche se sfortunatamente non aveva vinto nessuna medaglia, in futuro altre lo avrebbero fatto e disse anche: "Io sarò il riferimento per la partecipazione di altre donne".


3. Serena Williams
In ogni classifica sportiva che si rispetti, maschile o femminile, il suo nome non manca di sicuro.
E nemmeno nella mia.
Serena Jameka Williams è la tennista americana per antonomasia. Ha 34 anni quest'anno, ma è la più forte di tutte da 103 settimane consecutive. Ha vinto tutto e l’ha vinto decine di volte.
Lei è una giocatrice da fondo campo e ha un gioco molto aggressivo grazie al suo dritto, il più potente del circuito, e il suo rovescio bimane. Per non parlare della sua battuta che arriva a superare i 200 km\h. Serena ha un carattere solido e un fisico che la supportano molto bene nei momenti critici di un match. Per lei le palle match e gli aces nelle situazioni di pericolo sono un gioco da ragazzi. La sua carriera professionistica comincio nel 1997 al torneo Indian Wells nel quale partecipò al singolo ma anche al doppio con la sorella Venus, compagna nella vita ma molte volte avversaria sul campo. Come spesso succede ai campioni però, gli infortuni hanno fermato molte volte la sua scalata al successo ma non la hanno mai arrestata del tutto. La dimostrazione sono infatti i moltissimi record stagionale che detiene. Nel 2014 ha fatto 395 aces, più di tutte, ha vinto più giochi di tutte col servizio e ha salvato più palle break a proprio sfavore. E' un muro.E non importa se negli anni le rivalità agonistiche sono state tante, vedi Venus, Jennifer Capriati e Martina Hingis, lei ha dimostrato che sarà difficilissimo sostituirla.


4. Valentina Vezzali
La mia italiana numero 1 è Maria Valentina Vezzali.
Di lei si dice che è pericolosa e fredda come un killer. E sicuramente lo è quando impugna il fioretto,a giudicare dal numero impressionante di vittorie che ha collezionato sin da quando aveva solo dieci anni. Nasce a Jesi nel 1974 e la prematura morte del padre le ha donato negli anni la determinazione sportiva e la fragilità emotiva che lei stessa racconta nella sua biografia. La Vezzali è l'esempio della dedizione allo sport. E' la prima schermitrice al mondo ad essersi aggiudicata 3 medaglie d'oro olimpiche individuali in 3 edizioni consecutive, più altri 3 oro olimpici nelle gare a squadre, ed ha vinto anche un argento e 2 bronzi alle olimpiadi. Per non parlare poi dei 6 titoli mondiali, 15 europei, le 11 coppe del mondo e i 14 titoli nazionali. Insomma è sicuramente l'azzurra più medagliata di tutti i tempi e, secondo molti, la più grande schermitrice di fioretto di sempre.


5. Sarah Storey
Lo sport è tante cose e una di queste è l'uguaglianza. Lady Sarah Storey è un'atleta britannica, 11 volte campionessa paralimpica. E' nata nel 1977 con una grave deformità che ha reso inutile la sua mano sinistra, ma questo non le ha impedito di prendere parte, come nuotatrice, ai suoi primi Giochi Olimpici di Barcellona nel 1992 a 14 anni e vincere 2 ori, 3 argenti e 1 bronzo. Il suo palmares è pieno di vittorie nel nuoto ma, nel 2004 un'infezione all'orecchio la costrinse a interrompere con la piscina e il suo interesse si spostò al ciclismo su strada e su pista. L'anno dopo aveva già portato a casa le sue prime medaglie. Alla fine della sua impressionante carriera sportiva, con 11 medaglie d'oro e 22 in totale, è stata descritta come "la più grande atleta britannica dei moderni giochi paralimpici." E la Royal Mail britannica la celebra producendo quattro francobolli con la sua immagine per festeggiare i suoi quattro titoli di Londra nel 2012 e dipingendo d'oro quattro delle sue famose cassette postali rosse in tutto il paese. 



Tiziana Tavilla

venerdì 6 marzo 2015

L’ATLETICO E’ UN BUNKER, SAN MARCO VA KO

I due responsabili del blog contemporaneamente
in campo contro San Marco (foto Tanaka)
ATLETICO PKH                               46
SAN MARCO EVANGELISTA           31

ATLETICO PKH CASERTA: Pezzella, Anzoini 6, Chianese, Stellato, Mazzariello 5, Laudisio 20, Di Silvestro, Testa, Ranieri 4, Visone 4, Baccaro 7.
SAN MARCO EVANGELISTA: Cerreto, Sangiovanni 2, Gallo 4, Ferraiolo 10, Buono 6, F.Vitrone 4, Vigliotti 5, Cicatiello, Tenneriello.
ARBITRI: Ausiello e Canzano.
PARZIALI: 12-5, 21-16, 32-20.

Non sarà una partita che si consegnerà alla storia del campionato Uisp, ma contava solamente vincere per ipotecare, almeno, il secondo posto: impresa riuscita per l’Atletico PKH (targato GoldwebTv, Caserta Drink Øl, GoldBetCafè, Centro Genesis, T&T Impianti e Copynet) che batte San Marco Evangelista ancora in corsa per l’ultimo biglietto playoff. Partita dura, come all’andata, piena di contatti e falli sanzionati (anche tre tecnici), giocata su un campo ai limiti della praticabilità: il Pala Don Bosco, infatti, si è tramutato in una piscina a causa della condensa ed, a turno, praticamente tutti i giocatori hanno saggiato il parquet. Se a questo si aggiungono anche le tantissime assenze, ecco che la vittoria dell’Atletico assume ben altri contorni. La difesa, nuovamente, ha fatto la differenza concedendo solamente 31 punti agli avversari e riuscendo a non far pesare la sciagurata serata al tiro. Percentuali catastrofiche su entrambi i fronti, gara non spettacolare ma ora si doveva badare al sodo. Con questo successo l’Atletico PKH si guadagna il diritto di giocarsi il primo posto nella sfida della prossima settimana al Pala Matese contro gli All Greens: non ci sono calcoli da fare, chi vince termina primo nel girone B.

LA CRONACA. Con una chilometrica lista di assenti, l’Atletico PKH comincia con la novità Chianese in quintetto e con la difesa a zona 2-3, arma utilizzata raramente in questa stagione. Mossa vincente visto che gli ospiti, tolta la prima bomba di Ferraiolo, non segnano per 8’. I casertani non fanno tanto meglio ma Laudisio e Mazzariello (con una tripla) firmano il 10-3. Si comincia a volare sul parquet, la condensa rende ancora più scivoloso il campo e lo spettacolo va a farsi benedire. San Marco Evangelista la mette sul fisico, sfrutta i centimetri e cerca di correre anche se con scarso successo: Ferraiolo è particolarmente ispirato, gioca un secondo periodo da 8 punti e tiene a galla i suoi che, però, soffrono Laudisio e Ranieri. Gli animi si scaldano e ne fanno le spese Visone e Vitrone che prendono un doppio tecnico. La partita non è bella ma ci sono tante attenuanti visto che praticamente tutti i giocatori scivolano sul parquet; nel terzo periodo arriva la svolta. Visone infila quattro punti preziosi, Baccaro tiene molto bene, Ranieri fa il solito vuoto in vernice ma è la bomba di Laudisio a lanciare il PKH sul finire del periodo. Gli ospiti segnano solamente 4 punti in 10’, tutti con Buono, e vanno sotto in doppia cifra. Si alternano tutti, Baccaro si sblocca dalla lunetta, Laudisio chiude i giochi dopo il tecnico fischiato a Ferraiolo. Negli ultimi minuti, col risultato ormai in cassaforte, si cerca solamente di evitare infortuni ed ulteriori voli sul parquet: purtroppo non ci riescono Baccaro (due scivolate incredibili), il capitano Anzoini (distorsione alla caviglia dopo uno scontro con Buono) e Stellato (mezzo dente sputato via dopo un altro contatto). Finalmente finisce, punteggio basso ma contava solamente vincere.

giovedì 5 marzo 2015

CESARE FA 46 CON VALENTINO

Cesare Cremonini durante una visita
al box di Valentino Rossi
Parere personale: Valentino Rossi è il più grande motociclista italiano ogni epoca, Cesare Cremonini è il miglior cantautore italiano della nuova generazione. Si sono uniti, son diventati amici e Cremonini ha voluto regalare la bellezza della sua musica e parole (mai scontate e banali) per lo Sky Racing Team VR46 che altro non è che la scuderia di Valentino Rossi in Moto3. Già lo scorso anno, Romano Fenati ha fatto parlare tantissimo di sé per le vittorie, il sogno mondiale, ma anche per un talento invidiabile che lo proietta tra i prospetti italiani più interessanti. Quest’anno ci riprova insieme a Miglio: tutti in sella con loro, tutti a tifare per due ragazzi italiani, tutti a cantare la canzone di Cesare. Valentino e Cesare, un mix perfetto, pienamente dal gusto italiano di qualità nello splendido binomio di musica e moto. Una canzone che diventa inno per il team, la scelta del titolo semplice e chiara: 46, come il numero di Valentino. Come il numero del motociclismo italico. Certo pensare che la stessa persona, da ragazzo, cantava un’ode alla Vespa Special, è diventato grande tanto da inneggiare ad una moto da corsa, beh fa strano. Ma è anche il processo della vita. Il testo, poi, si sposa perfettamente con lo stile di vita di Valentino ma anche di tutti i motociclisti: particolarmente vera la frase ‘ogni corsa può essere l’ultima’ ed il pensiero vola al Sic. Profetico, perché per salire su quei bolidi lo sai da bimbo, il verso: “quando il mondo correva va più veloce di me, giurai che lo sarei andato a riprendere”, sicuramente Vale e gli altri lo sapevano e lo volevano sin dalla giovane età. Bellissima e veritiera anche la frase ‘Vado via per salvare un po’ di me’, quanto è vera quando sali su quelle due ruote e corri a manetta verso il traguardo. Insomma, un motivo in più per tifare la scuderia di Valentino c’è (o meglio Rossi c’è, per dirla alla Meda): su quelle moto ci saranno anche le parole e la musica di Cremonini. Mica è poco.

Camillo Anzoini


Ecco il testo della canzone inno

Senti qua come strilla questo motore, come va
non lo senti mentre viaggia, che musica fa
come me non sa frenare l’amore che dà
non è stanco di lottare.
Io le sento ancora addosso le parole
gli occhi di mia madre, le ossa rotte
ma poi la musica che ho dentro sale
e Dio sa solamente andare.
Vado via per salvare un po’ di me
l’asfalto sembra fatto di plastica ed ogni corsa è l’ultima
quando il mondo corre va più veloce di me
sai che lo sarei andato a riprendere.
Lo sarei andato a riprendere