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lunedì 12 gennaio 2015

BUONGIORNO PALESTINA

Abdallah Jaber ed il suo look alla Vidal
Ore 7.45, suona la mia sveglia. Ore 8, nel cielo di Newcastle (in Australia) si alzano le note dell’inno nazionale. Occhi lucidi, sguardi fieri, cuori gonfi: la Palestina debutta nell’Asian Cup 2015 (l’equivalente del nostro Europeo). E’ la prima volta ufficiale per la giovane nazionale araba in questa competizione così importante e affascinante che blocca un intero continente per tre settimane intorno ad un pallone. L’inno cantato a squarciagola sotto due gocce d’acqua in mezzo al sole; le bandiere che sventolano fiere da parte degli immigrati o rifugiati, le donne con le kefie, i ragazzini, gli adulti con le trombette. E c’è il look di Abdallah Jaber che sembra Arturo Vidal. Si gioca in Australia perché la federazione aussie è affiliata alla confederazione asiatica ormai da anni. Dall’altro lato c’è il Giappone, una vera potenza continentale guidata dal messicano Javier ‘El vasco’ Aguirre e forte di giocatori come Honda, Nagatomo e Kagawa. Il cliente peggiore per cominciare questo cammino, ma il risultato oggi non conta. Conta esserci con la propria divisa rossa ed il simbolo sul cuore. Il primo obiettivo, comunque, è difendersi dalla furia dei Blue Samurai; il muro palestinese resiste 8’ prima che il veterano Yasuhito Endo buchi capitan Saleh dalla lunga distanza. Al 24’ anche la sfortuna ci si mette: una carambola permette a Okazaki di raddoppiare. Piace sempre la sportività palestinese; ogni volta che viene steso un nipponico, una stretta di mano e le scuse. Merce rara in questo calcio moderno. Al 42’ ci si mette anche l’arbitro assegnando un generoso rigore al team del Sol Levante: facile trasformazione di Honda. 
Sakai entra duro sulla stella Al Fawaghra
I ragazzi guidati da Al Hassam incassano il quarto gol in avvio di ripresa quando Yoshida fa valere i centimetri e segna con una bella capocciata. Viene espulso Mahajna per doppia ammonizione, nella ripresa fioccano i ‘gialli’ e gli interventi duri più per stanchezza che per reale cattiveria. Il talento Al Fawaghra, che si ispira a Cristiano Ronaldo, fa vedere qualche bel numero. Il migliore in campo è il portiere e capitano Ramzi Saleh che, tra uscite spericolate, dribbling e parate, è il mio mvp. Finisce 4–0 ma fa nulla. La Palestina, seppur giovane come nazionale di calcio, occupa il posto 115 del ranking Fifa ed è quattordicesima a livello continentale. Ha staccato il biglietto per l’Australia vincendo la Challenge Cup dove, nell’ordine, ha eliminato il Kyrgyzstan, Myanmar (l’ex Birmania), Afghanistan e le Filippine nella finalissima. Già essere qui è un motivo di vanto ed orgoglio, già poter vedere la propria bandiera sventolare deve essere un segnale di speranza da lanciare al mondo. Una nazionale che, nel corso della sua giovane storia, è stata decimata con ben quattro nazionali uccisi nei vari raid israeliani o addirittura arrestati. Un pallone non potrà mai alleviare le sofferenze, ma nelle due ore del match sicuramente il popolo palestinese si è unito ancor di più. Retorica? Forse sì, ma anche no se si pensa alla potenza dello sport, del calcio: 90 minuti per sognare e poi di nuovo a vivere la propria difficile esistenza. La Palestina ha dato un calcio ad un pallone sull’erba australiana, sembra poco ma non lo è.


Camillo Anzoini

L’inno palestinese prima del match



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